La vulva è uno degli organi più emotivamente significativi del corpo femminile. È ricchissima di terminazioni sensitive, il che spiega sia l’intensità del piacere di cui può essere fonte in ambito erotico sia l’intensità del dolore in caso di lesioni, traumi e patologie vulvari e genitali.

Negli ultimi anni, l’attenzione dei ginecologi si sta rivolgendo a tutte le forme di dolore vulvare, acuto e cronico, oltreché neuropatico, dall’infanzia alla post-menopausa. Inoltre il dolore vulvare è stato recentemente oggetto anche di attenzione pubblica dopo la rivelazione fatta da Giorgia Soleri, nota modella e fidanzata del cantante dei Maneskin, la quale ha dichiarato di soffrire da tempo di vulvodinia.

L’International Society for the Study of Vulvar Desease insieme all’International Society for the Study of Women’s Sexual Health e l’International Pelvic Pain Society nel 2015 hanno adottato un nuovo sistema di classificazione del dolore vulvare che riconosce la complessità di fare tali diagnosi. In questa classificazione le condizioni del dolore vulvare vengono divise in due gruppi principali:

– Dolore vulvare causato da un disordine specifico;
– Vulvodinia.

Quest’ultima riguarda una forma di dolore vulvare idiopatico (senza una chiara causa identificabile), la cui diagnosi richiede che il dolore sia presente da almeno tre mesi. Può essere spontanea e generalizzata a tutta la zona vulvare, in cui la distribuzione dei sintomi si individua lungo tutto il decorso del n. pudendo (v. disestetica), oppure essere localizzata a livello del vestibolo (introito vaginale). In quest’ultimo caso si parla di vestibulodinia o sindrome vulvo-vestibolare.

La vulvodinia può essere il risultato finale o l’espressione di numerosi processi patologici, al punto che un’unica strategia medica può essere inadeguata ad affrontare tutti i casi che si presentano in consultazione. Il decorso è cronico e la remissione è rara. Inoltre, solo il 2% delle donne che richiedono assistenza medica ricevono velocemente una diagnosi accurata.

L’approccio multidisciplinare è indispensabile se sono presenti comorbilità, come succede in caso di sindrome della vescica dolorosa, sindrome dell’intestino irritabile o endometriosi, specialmente se sono coinvolte localizzazioni extra-ginecologiche, e/o se sono presenti fattori predisponenti alle comorbilità, come è il caso dell’ipertono dell’elevatore dell’ano. Sarebbe richiesto allora l’intervento del gastroenterologo, del neurologo, dello psichiatra, dell’urologo, del fisioterapista, dello psicoterapeuta e del sessuologo clinico.

Si tratta di una condizione altamente invalidante e ancora scarsamente riconosciuta che può compromettere l’area lavorativa, sociale, ma soprattutto personale ed intima della donna. La sofferenza fisica, il disagio e l’imbarazzo provocato dalla presenza e dalle conseguenze del dolore spesso inficiano la volontà di comunicare su questo argomento, soprattutto con il partner.

La vulvodinia (o vulvo-vestibolite) non risponde facilmente ad una terapia farmacologica, cosa che è tipica di tutte le sindromi da dolore neuropatico.

Il dolore vulvare provato alla penetrazione sessuale, con le sue caratteristiche di bruciore e pressione, è la causa per cui la coppia generalmente smette di fare sesso. Con i farmaci e la terapia sessuale la vulvodinia può essere in parte debellata ma la vita sessuale, se non opportunamente mediata da una buona comunicazione, difficilmente riesce ad essere soddisfacente e spontanea. La terapia sessuale consiste solitamente in esercizi di focalizzazione sensoriale che servono proprio a facilitare la ripresa di un contatto fisico intimo con una modalità “progressiva”. Le carezze reciproche aiutano infatti la coppia a ritrovare quelle sensazioni e quell’abbandono all’altro che il dolore sessuale ha allontanato dai loro rapporti, permettendo il recupero dell’intimità.

La vita sessuale può così riprendere gradualmente grazie alla creazione e/o al ripristino dell’intimità corporea sperimentata attraverso modalità protette messe in atto all’interno di uno spazio e di un ambiente sicuri che evitano il dolore ai rapporti.

È importante perciò parlarne subito con il medico affinché si possa fare una diagnosi tempestiva, ma ancor di più per legittimare l’esistenza del dolore sessuale, vedendo così riconosciuto il diritto a ricevere l’assistenza ed il supporto adeguati.

Si ringrazia per la collaborazione la dr.ssa Elisa Ginanneschi

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