Le ultime elezioni hanno confermato un dato che era sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono e possono vedere. Questo dato ci dice che a livello politico esistono soltanto tre soggetti nel nostro Paese: un vincitore, uno sconfitto e dei non pervenuti.

Certo, si trattava di elezioni locali, in cui contano maggiormente i singoli candidati, le coalizioni, il contesto cittadino, etc. Ma tutto questo, al netto delle furbizie dialettiche dei nostri politici, fa parte dei bla bla di una politica ridotta a teatrino mediatico.

Volendo ragionare senza i rami secchi della retorica partitica – secondo cui alla fine hanno vinto tutti, o quantomeno vinceranno al momento buono – il dato è uno solo. Ed è sconfortante. L’unico vincitore è Mario Draghi, e con lui tutto quel potere finanziario che non da oggi governa l’agenda politica e stabilisce il sistema valoriale delle nostre società. Lo abbiamo visto con la pandemia, quando il Paese rischiava veramente di tracollare in seguito al blocco dell’economia: sono stati gli stessi partiti a dichiarare la propria inadeguatezza e a chiamare l’ex governatore della Banca europea. I cittadini, che in larghissima parte non sono andati proprio a votare, non hanno fatto altro che prendere atto di questa inadeguatezza della politica. Perché avrebbero dovuto sacrificare una domenica di sole per andare a votare coloro che si sono fatti servi volontari della finanza?!

E non si faccia l’errore di parlare di “morte del populismo”, perché in termini politologici il 50% dell’astensionismo significa che i cittadini si sono rifugiati nel più radicale dei populismi: quello del popolo che decide di non farsi rappresentare, di non concedere a nessuno la propria fiducia e il proprio voto. Non esiste pericolo più grande per un sistema democratico. In tutto questo vi è anche un elemento di pericolo, ovviamente collegato: sono scomparsi – o comunque hanno fallito – i cosiddetti partiti “valvola di sfogo”, in particolar modo quel Movimento Cinque stelle e quella Lega che finora avevano canalizzato all’interno del perimetro democratico l’enorme massa di rabbia sociale, fanatismo, complottismo e guerra contro le istituzioni (a cominciare dalla scienza e dalla cultura) che infestano il nostro Paese. Da ora in poi dovremo chiederci (e preoccuparci) di quale strada prenderà tutta questa rabbia sociale.

Tutto questo ci fa individuare lo sconfitto: è l’Italia. Il paese dei trionfi sportivi, mai così tanti e illustri come quest’anno, ma anche del premio Nobel a un grande scienziato (il fisico Giorgio Parisi) che poco tempo fa aveva denunciato le “tendenze antiscientifiche” dilaganti in Italia, dove alla sfiducia nella scienza (e nella competenza, e nel merito mortificato in troppi luoghi, a cominciare dalle stesse Università) si accompagnano diffuse pratiche e credenze astrologiche, omeopatiche, magiche e antiscientifiche. Siamo fra i paesi col più alto tasso di analfabetismo funzionale al mondo, fra quelli in cui si legge e si studia meno, e dove meno si investe nell’istruzione e nella ricerca.

Il risultato è quello di avere tanti bravissimi sportivi (onore a loro!), a fronte di una società mediamente mediocre, in cui la politica eclissata e incapace è lo specchio più fedele di un popolo non certo migliore. Non è un caso che a farla da padrone in Italia, ai più vari livelli, siano ancora i privilegi, la corruzione e in generale la mediocrità diffusa di una scala sociale in cui si può salire solo se figli di, protetti da o inginocchiati a…

Arriviamo così ai non pervenuti: quei partiti politici incapaci di pensare il nostro tempo ed elaborare dei programmi seri, concreti e credibili per rilanciare il Paese. Sono gli stessi partiti di cui possiamo percepire delle differenze soltanto a livello di costume e di polemica superficiale: alcuni più razzisti, sessisti e gerarchici, altri più attenti alle minoranze, ai deboli e ai discriminati. Ma a parte ciò, non mi risulta vi siano differenze sostanziali (e neppure programmi concreti, a dirla tutta) sulla politica economica, fiscale e produttiva da attuare per rilanciare un’Italia terribilmente in ritardo rispetto alle altre potenze mondiali.

Se è vero che democrazia non è mai stato il “governo del popolo” (come prometterebbe il nome), bensì il governo di una politica ricca di idee, valori e credibilità sulla società civile (economia, istruzione, giustizia, etc.), allora il dato di fondo dei soli tre soggetti emersi da queste elezioni ci sbatte in faccia una realtà con cui fare i conti al più presto: abbiamo un serio problema di democrazia!

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