“Quello che provo oggi è un senso di giustizia. Ho sempre pensato che sarebbe andata così, non per una fiducia generica nella giustizia, ma perchè non ho mai nutrito il dubbio che la Procura non lavorasse seriamente”. Francesca Frezza è la mamma di Nina, uccisa dal citrobacter, il batterio-killer responsabile della morte di quattro neonati nell’ospedale Borgo Trento di Verona. Nella mattinata di martedì si è diffusa la notizia che sette medici sono finiti sotto inchiesta per omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime in ambito sanitario. Francesca non sapeva nulla degli sviluppi giudiziari, anche se è stata lei a denunciare che la sua piccola era morta, dopo aver subito gravissime lesioni al cervello per un’infezione contratta nel reparto di neonatologia. Assieme a Nina sono morti anche Alice e Tommaso, tutti dopo una lunga agonia. Altri neonati, invece, dovranno trascorrere la loro vita con gravi menomazioni psichiche. “Questo è un primo punto importante che dimostra come la struttura sanitaria di uno dei più importanti ospedali del Veneto abbia vacillato. Non si sono accorti di quello che stava accadendo, del focolaio infettivo in atto. E questo è avvenuto per un periodo lunghissimo“, dice Francesca.

Nel registro degli indagati sono stati iscritti sette nomi. Il primo è Francesco Cobello, che tra il 2018 e il 2020 era direttore generale dell’ospedale e oggi è direttore della Fondazione Scuola Sanità Pubblica. C’è poi Chiara Bovo, già direttore sanitario, oggi alla direzione della funzione ospedaliera a Schiavonia in provincia di Padova, dove avvenne il primo decesso per Covid in Italia. L’elenco continua con il direttore medico della struttura Giovanna Ghirlanda e con il primario di Pediatria Paolo Biban. L’inchiesta però si è allargata ad altri settori ospedalieri che avrebbero dovuto intervenire in quella situazione di malasanità, che invece fu tenuta a lungo nascosta o non venne capita. Sono indagati, infatti, anche Evelina Tacconelli della direzione di Malattie Infettive, Giuliana Lo Cascio, già primario facente funzioni dell’Unità Operativa di Microbiologia e Virologia (adesso è trasferita a Piacenza) e Stefano Tardivo, il medico che ha la funzione di “risk manager” della struttura.

I primi nomi coinvolti dell’indagine, ancora in fase preliminare, arrivano a un anno di distanza dal 5 settembre 2020, quando il dg Cobello sospese temporaneamente dal servizio Biban, Bovo, Ghirlanda e Lo Cascio. Terminato il periodo di sospensione sono tutti tornati al lavoro. Nel frattempo Cobello ha cessato il suo incarico per motivi di età. L’inchiesta penale è stata svolta con grande cautela e nel più stretto riserbo: il fascicolo è sul tavolo del sostituto procuratore Maria Diletta Schiaffino. Intervistata dal “Corriere di Verona”, la procuratrice Angela Barbaglio ha spiegato: “Il coinvolgimento dei medici è dovuto al fatto che, nei rispettivi ruoli che ricoprivano all’epoca, nel momento in cui comparvero le prime avvisaglie, i primi segnali di allarme sulla possibile presenza del Citrobacter, a nostro avviso avrebbero omesso di adottare quei provvedimenti che avrebbero potuto evitare il peggio”. Non sarebbero intervenuti per affrontare l’emergenza dovuta alla presenza nel reparto del batterio, nei cui confronti sono particolarmente vulnerabili i nati prematuri.

Di quella situazione fu dato uno spaccato allarmante nella relazione conclusiva di una commissione d’inchiesta nominata dalla Regione Veneto, secondo cui il focolaio epidemico ha coinvolto 89 neonati. La chiusura del punto nascite venne disposta il 12 giugno 2020, ma erano almeno sei mesi che Francesca Frezza aveva denunciato che cosa accadeva in quel reparto e che cosa aveva visto personalmente in violazione delle norme di igiene. La procuratrice Barbaglio, un anno fa, spiegava che ci sarebbe voluto un lavoro di verifica molto attento, per individuare le responsabilità individuali, visto che le infezioni erano avvenute in un ampio arco di tempo. Lo ribadisce ora: La Commissione regionale ha evidenziato gravi carenze, omissioni e responsabilità nella gestione dell’intera vicenda. Ma l’iscrizione nel registro degli indagati era tutt’altro che automatica. Da parte nostra è stato necessario procedere all’acquisizione di documentazione medica, al sequestro di referti sanitari con il supporto del Nas, alla raccolta di deposizioni testimoniali con la collaborazione della polizia giudiziaria. Il tutto avvalendoci del contributo scientifico che ci ha fornito il direttore dell’Istituto di Medicina legale di Verona, Franco Tagliaro”. Adesso, per costruire un capo d’accusa, la Procura dovrà verificare l’esistenza del nesso causa-effetto caso per caso.

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