Quanti sono i neonati uccisi dal Citrobacter nell’ospedale di Borgo Trento a Verona? E quanti quelli che hanno subito lesioni permanenti al cervello? A distanza di dieci mesi dal primo decesso si stanno completando le procedure per la chiusura delle Terapie intensive neonatale e pediatrica interne all’Ospedale della Donna e del Bambino, che saranno trasferite nel blocco centrale della cittadella sanitaria, per una sanificazione totale degli ambienti. Intanto una cinquantina tra infermieri e operatori sociosanitari sono stati trasferiti ad altri reparti ed è stato chiuso a tempo indeterminato anche il punto nascite, il più grande del Veneto. I parti avverranno, quindi, negli ospedali di Negrar, Villafranca Veronese e San Bonifacio. Una decisione unica in Italia per una vicenda dai risvolti drammatici, troppo a lungo rimasta sotto traccia. Sarebbero, infatti, almeno tre i piccoli deceduti, ma altri sarebbero stati colpiti dal batterio che provoca encefalopatie gravissime.

Sul primo caso, quello di Nina, nata a Verona nell’aprile 2019 e deceduta a novembre al Gaslini di Genova dove i genitori l’avevano ricoverata per le ultime cure palliative, sta indagando la Procura del capoluogo ligure. La perizia fatta effettuare dal pm genovese (avvalorata da una consulenza della famiglia) ha portato ad individuare il “citrobacter” e a puntare il dito contro la struttura sanitaria veronese. Ma secondo le versioni dei rispettivi genitori, ci sarebbero altri due casi. Leonardo è morto lo scorso aprile a sei mesi. Il figlio di una coppia pakistana residente a Verona è deceduto la scorsa estate. Ma ci sono anche alcuni neonati che si trovano in stato vegetativo. Alice era nata sana lo scorso marzo, anche se prematura di 30 settimane, ma è poi stata colpita da danni neurologici. La stessa situazione riguarda un altro piccolo, anche se i casi in totale sarebbero una dozzina.

È stata insediata una commissione esterna per chiarire come sia possibile che il batterio abbia potuto intaccare, in un arco di tempo molto ampio, tanti piccoli ricoverati o neonati. Finora la Regione non ha preso provvedimenti. Il direttore Francesco Cobello ha dichiarato: “Dobbiamo capire cosa sia successo. Ci sono due forme di contaminazione: verticale, ossia da madre a figlio, e orizzontale, cioè da persona a persona. Stiamo lavorando per capire quale delle due sia intercorsa e se il ceppo che ha colpito i nostri pazienti sia lo stesso. Il campanello d’allarme che mi ha portato a spostare le due Terapie intensive e a chiudere il punto nascite è stata la contemporaneità dei casi. Poiché le varie sanificazioni effettuate non hanno sortito risultato, ho voluto eliminare anche la più remota ipotesi di ulteriore infezione”.

Ad accusare è Francesca Frezza, la mamma di Nina. “Non si tratta di un caso” ha dichiarato, citando il responso delle perizie eseguite da Francesco Ventura, docente di Medicina legale all’Università di Genova, e Davide Bedocchi, incaricato dalla famiglia. L’infezione sarebbe stata contratta in ospedale, la morte provocata da sepsi da citrobacter. “Ci sono altre famiglie coinvolte. Dopo la morte di mia figlia sono stata contattata da tre mamme. Anche i loro figli hanno avuto infezioni da citrobacter. Poco tempo fa è morto un bambino di sei mesi di Verona. Un altro, nato nello stesso periodo di Nina è in stato vegetativo. Un terzo, che ho visto con i miei occhi in terapia intensiva mentre c’era mia figlia ricoverata, è morto lo scorso luglio”. Francesca Frezza aggiunge: “È tutt’altro che un caso singolo, anche se a me è sempre stato ripetuto che si trattava di un caso isolato e che il precedente risaliva a cinque anni prima. Ma le perizie medico legali sono chiare: il contagio è avvenuto in terapia intensiva e dato che il citrobacter si trasmette dalle urine e dalle feci qualcun altro ce lo doveva avere nello stesso reparto”.

Il quotidiano “L’Arena” ha raccolto la testimonianza di un’altra mamma: “Mia figlia ha il 70 per cento del cervello bruciato. È nata sana il 4 marzo, anche se prematura di 30 settimane. Adesso ha un grave handicap neurologico. È stata tra la vita e la morte più volte durante i lunghi mesi di ricovero in Terapia intensiva neonatale a Borgo Trento, ma ha tenuto duro ed è rimasta qui. È disabile, con un idrocefalo destinato a peggiorare, dolori e crisi epilettiche, bisognosa di riabilitazione, farmaci, assistenza totale”. Un atto d’accusa molto grave: “A mia figlia è stato tolto di diritto alla salute, perché in ospedale sapevano, quando sono andata a partorirla, che c’era questo Citrobacter e che tutti i piccoli erano a rischio. Eppure nessuno mi ha detto niente”.

Foto di archivio

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