Non ho assolutamente messo in discussione l’istituto referendario, ma la situazione generale in cui oggi si colloca la pratica di questo istituto. Il mio è un richiamo alla discussione a tutto campo sull’argomento e non ha nulla a che vedere con una posizione contraria su questo o su quel referendum nei suoi contenuti”. Sono le parole del filosofo Massimo Cacciari che, intervistato da Lanfranco Palazzolo per Radio Radicale, chiarisce il senso del suo editoriale sull’Espresso, foriero di polemiche sui social e, in particolare, di dissenso della senatrice di Più Europa, Emma Bonino, e di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e componente del Comitato promotore del referendum ‘Cannabis legale‘.

Cacciari, che pur dichiara il suo sostegno al referendum sull’eutanasia e sulla cannabis legale, allerta sul rischio di “ridurre l’espressione del proprio parere e della propria opinione al solito click”. E sottolinea: “C’è una deriva che riguarda non il referendum in quanto tale, né i suoi contenuti, ma il modo in cui si realizza oggi questo importante istituto. Non possiamo nasconderci dietro a un dito: la moltiplicazione dei referendum è indice di una crisi profonda e radicale dell’istituto parlamentare. Allora occorre culturalmente interrogarsi su come ci atteggiamo nei confronti di questa crisi, perché magari inconsapevolmente o involontariamente la moltiplicazione di referendum, sempre più facili da bandire e da organizzare – continua – può finire col facilitare, con l’accentuare, con il velocizzare ulteriormente la crisi delle assemblee rappresentative e dell’istituto parlamentare. Il che, per carità, può essere anche una strategia, ma va esplicitata: se si ritiene che la fine della democrazia rappresentativa sia il termine della corsa, questa è una autorevolissima opinione, però onestà intellettuale vuole che la si esprima. Non si può giocare con l’istituto referendario ignorando che questo è l’espressione di una sempre più radicale debolezza dell’istituto parlamentare ad affrontare qualsiasi questione”.

Il filosofo cita come esempio Chiara Ferragni: “Se passa la possibilità di aderire a un referendum con un click o un like, come sicuramente sarà, chiaramente Ferragni, con il limite attuale di firme che abbiamo, può benissimo promuovere 500 referendum al giorno. È assurdo affrontare questioni di tale rilievo storico e culturale semplicemente mostrando che ci si comporta bene. È il processo che conta, non la volontà dei singoli. Ricordo che non siamo nell’epoca dell’aborto e del divorzio, ma in un’era completamente diversa sotto tutti i profili: politici, organizzativi, istituzionali, culturali. E quindi ogni strumento vale per l’epoca in cui viene applicato. Non può esserci uno strumento che vale comunque e dovunque – conclude – Il paradosso di cui parlo è esattamente questo: siamo in un’epoca in cui magari i più convinti democratici, quelli che pensano davvero di battersi con le loro azioni per una riforma o per una rivitalizzazione del sistema democratico, utilizzando determinati mezzi, che non sono mai semplicemente mezzi perché il messaggio è nel mezzo, possono contribuire inconsciamente, involontariamente e, diciamo così, allegramente ad accentuare questa deriva di crisi generale delle istituzioni democratiche. Ed è una crisi che stiamo vivendo in pieno, soprattutto in questo Paese”.

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