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Milano e il caso dei ragazzi suicidi: nessuno sembra curarsene

Milano e il caso dei ragazzi suicidi: nessuno sembra curarsene
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Nella comunicazione e nel dibattito pubblico non vi è più spazio per commentare e riflettere su una giornata nerissima che ha coinvolto la generazione adolescente di Milano. Tre, dicesi tre, ragazzini si sono buttati dalla finestra lunedì scorso in concomitanza con le aperture della scuola. Non ho ricordi che in una grande città ci fosse questa funerea coincidenza per numero ed età dei ragazzi che hanno posto in essere simile gesto.

Adolescenti come tanti altri, brulicanti in una città come Milano che pare, a giudicare dalla campagna elettorale, essere incapace di curarsi del fatto che vi sono fatiche, spesso incomprensibili e non leggibili dagli stessi genitori, che spingono i nostri ragazzi ben oltre una soglia tollerabile di dolore. Da tempo gli operatori dei servizi che si occupano di neuropsichiatria infantile denunciano un perenne e stabile stato di emergenza legato agli agiti suicidari. A forme di autolesionismo che vanno ben oltre le incredibili, agli occhi di un adulto, sfide competitive legate a qualche gioco estremo. Da tempo questi operatori gridano al vento la loro resa di fronte a fenomeni che per dimensione numerica e difficoltà organizzative pare averli sopraffatti.

Non ho letto nessuna dichiarazione politica, quasi fosse un fastidio la morte di due ragazzini e le ferite dell’unica superstite; fosse un preciso dovere sottrarsi ai commenti, mantenendo l’attenzione su quella città dei sogni che parrebbe essere diventata Milano. Tre suicidi di cui due riusciti in un unico giorno non smuovono più nemmeno la curiosità dei nostri giornalisti, troppo presi dal gossip politico e dalla egolatria cui spinge, inevitabilmente, la televisione. Quasi fosse un geroglifico tutto da decifrare, il gesto di quei tre ragazzini rimarrà nel chiuso di un dolore insopportabile, vissuto dai genitori verso i quali nessuna pietà o nessuna parola potrà dar sollievo.

Tutto procede come prima. Anzi meglio di prima. Un certo ceto intellettuale litiga sul green pass, la politica cerca di sopravvivere anche a questa stagione pandemica e la stampa tratta simili notizie alla pari di una rapina in tabaccheria. Eppure, anche la salute mentale interroga e investe la sanità pubblica. L’abbandono assoluto di tali politiche, condite da assoluto menefreghismo culturale, sta portando le nostre città a essere enormi contenitori di pulsioni, desideri, agiti privi di senso e di prospettiva e nulla più. Questo è, più o meno, ciò che appare a chi si occupa di adolescenza o di salute mentale.

Lunedì Milano, da città dei sogni, si è trasformata in città degli incubi. Incubi che ci interrogano sul fatto che le città sono diventate periferie estese, dove per periferia si intende una geografia della relazione, frastagliata in mille punti tra loro non più connessi. Uno sterminato reticolo di strade e abitazioni le cui costruzioni sociali, ultime e uniche, sono quelle legate agli “eventi”. Un “eventificio” continuo, moderno luna park con corredo di fenomeni da baraccone, che pare essere l’unico alimento utile alla nostra autoreferenzialità. Mai morti sono state così inutili.

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Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che potrebbe averne bisogno, ricordati che esiste Telefono amico Italia (0223272327), un servizio di ascolto attivo ogni giorno dalle 10 alle 24 da contattare in caso di solitudine, angoscia, tristezza, sconforto e rabbia. Per ricevere aiuto si può chiamare anche il 112, numero unico di emergenza. O contattare i volontari della onlus Samaritans allo 0677208977 (operativi tutti i giorni dalle ore 13 alle 22).

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