La transizione ecologica costa, è un fatto. Il ministro Roberto Cingolani ha la tendenza a sottolineare questo indubbio problema, ma senza indicare soluzioni. L’ultimo esempio riguarda le bollette energetiche. L’1 ottobre l’Autorità per l’energia (Arera) comunicherà come ogni trimestre gli aumenti in arrivo per le famiglie in regime di tutela, quelle cioè che non si sono ancora rivolte al mercato libero. L’andamento dei prezzi di gas ed elettricità, entrambi ai massimi storici sia per problemi di carenza di offerta sia per effetto del rialzo senza precedenti del costo delle quote di Co2, fa prevedere un nuovo incremento a doppia cifra dopo quello registrato a luglio. E il ministro, senza attendere il dato ufficiale, durante un convegno della Cgil ha messo le mani avanti: “Lo scorso trimestre la bolletta elettrica è aumentata del 20%, il prossimo trimestre aumenta del 40%. Queste cose vanno dette, abbiamo il dovere di affrontarle. La transizione ecologica deve andare di pari passo con quella sociale, altrimenti le imprese perdono competitività e i cittadini con reddito medio bassi faticano ulteriormente per pagare dei beni primari come l’energia”.

Nessun riferimento, però, a come il governo intenda intervenire. Anche se è inevitabile che un provvedimento in materia venga adottato di qui al 28 settembre, quando Arera tirerà le somme sugli aumenti. Anche perché dopo l’annuncio della stangata in arrivo le associazioni dei consumatori e tutti i partiti hanno chiesto di battere un colpo. Nelle scorse settimane si sono rincorse voci sull’intenzione di trasferire sotto la fiscalità generale almeno gli oneri per il sostegno alle rinnovabili, che pesano per il 70% degli oneri generali di sistema (a loro volta circa un quarto della bolletta). A pagare sarebbero in quel caso tutti i contribuenti. In parallelo, per mettere una pezza ex post ai rincari – posto che le cause sono molteplici e richiedono probabilmente un intervento a livello Ue – si può seguire la strada indicata a luglio dal presidente dell’Arera, Stefano Besseghini, e in parte già percorsa: utilizzare strutturalmente, per calmierare i prezzi, tutti i proventi delle aste del mercato europeo dei permessi di emissione di Co2.

Queste “quote di inquinamento”, che i produttori di energia e in parte le industrie inquinanti sono tenuti ad acquistare per ogni tonnellata di Co2 che disperdono nell’ambiente, oggi costano oltre 60 euro l’una: un livello senza precedenti. Nel secondo trimestre l’Italia ne ha ricavato 719 milioni di euro, +168% sull’anno precedente e quasi il doppio rispetto al primo trimestre. Avanti di questo passo, i ricavi per lo Stato potrebbero raggiungere quest’anno i 2,5 miliardi. Non sarebbero sufficienti per evitare impennate come quella in arrivo in autunno, ma sarebbe un inizio. Il primo passo? Cambiare la legge del governo Monti che destina metà dei proventi al fondo ammortamento titoli di Stato, cioè a ridurre il debito pubblico. A luglio il governo ha stanziato per attenuare i rincari 1,2 miliardi, metà dei quali finanziati con i ricavi delle aste. Il contributo, potenzialmente, potrebbe salire non poco. Ma va considerato che questa volta ci vorranno molte più risorse per contenere il rincaro.

Gli aumenti sono legati al trend di forte crescita delle quotazioni delle principali materie prime energetiche, in particolare i prezzi europei del gas sono cresciuti di oltre il 30% nel secondo trimestre del 2021 rispetto al primo e risultano sempre più correlati al prezzo della Co2. Aumenti delle materie prime stanno causando ripercussioni analoghe sui prezzi finali dei consumatori anche in altri paesi europei, come la Spagna e la Francia. In Spagna, ha ricordato Davide Crippa, capogruppo del Movimento 5 Stelle alla Camera, “già dallo scorso trimestre il governo è intervenuto a favore dei clienti domestici con contratti fino a 10 Kw abbassando l’IVA dal 21% al 10%. E’ intervenuto, poi, con misure valide per tutto il 2021 per quei clienti definiti vulnerabili. A breve, per abbassare il peso degli oneri delle rinnovabili sarà istituito il Fondo Nazionale per la sostenibilità del sistema elettrico, alimentato da risorse statali e comunitarie; saranno le imprese petrolifere, quelle del gas e i venditori di tutti i settori energetici, con qualche eccezione, a pagare gli oneri per le rinnovabili assieme ai clienti finali; oneri che in Spagna pesano sulla bolletta per circa il 16% mentre in Italia vanno oltre il 20%”.

In serata il ministro ha dovuto precisare che “il governo è fortemente impegnato per la mitigazione dei costi delle bollette dovuti a queste congiunture internazionali e per fare in modo che la transizione verso le energie più sostenibili sia rapida e non penalizzi le famiglie. Stiamo elaborando una serie di interventi strutturali, qualcosa che deve rimanere, anche a livello fiscale”. E, avendo diffuso un dato che non arrivava da Arera, ha ricordato che “i dati tendenziali sugli aumenti dei costi dell’energia sono noti e monitorati da tempo dagli addetti ai lavori: le variazioni delle bollette sono stabilite ogni trimestre dall’autorità per l’energia sulla base del costo delle materie prime come il gas e dal costo della CO2”.

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