Perché è questo che mi sembra rivelare l’Asia orientale attraverso certe faglie sottili e profondissime che la percorrono tutta: l’identità di ciascuna nazione pare affermarsi anche attraverso l’opposizione rispetto alla nazione vicina, nonostante le affinità; ogni popolo sembra definire sé stesso in buona parte guardando di continuo a ciò che lo distingue dagli altri. Vale per la Cina e il Giappone. Vale senz’altro per la Corea, stretta com’è proprio tra la Cina e il Giappone, entrambe culturalmente affermate e riconosciute. Ma è così anche per il Vietnam rispetto alla Cina, per non dire di Cina e Taiwan e poi ancora di Vietnam e Cambogia, e Cambogia e Thailandia, e Thailandia e Birmania… Un domino di distinguo pronti a tramutarsi in motivi di scontro, e guerre feroci, e vampate di retorica uguale a sé stessa nei decenni.

Asiatica. Storie, viaggi, città: guida a un continente in trasformazione, di Marco Del Corona (Add Editore), è una mappatura letteraria di un vasto territorio geografico apparentemente immutabile, ma scosso da conflitti e fermenti sociali, che va dal Vietnam alla Corea passando da Giappone, Cina, Cambogia e Taiwan. Per tracciare questa topografia l’autore si avvale di fixer d’eccezione, ossia degli scrittori che abitano quei luoghi: Han Kang, Hwang Sok-yong, Murakami Ryū, Kirino Natsuo, Yoshimoto Banana, Hao Jingfang, Yu Hua, Yan Lianke, Li Kunwu, Wu-Ming-yi, Rithy Panh, Nguyen Huy Thiep. Guide letterarie che attraverso le loro parole conducono il lettore sulle isole Dokdo, a Pechino, Tokyo, Seoul, Taipei, Hanoi, Phnom Penh, Shanghai, Hong Kong, Chongqing.

Nel ’93 sospettavo di essere sessualmente represso, un’espressione che però capivo solo a metà. Se non si ha una donna e non la si desidera, allora è repressione sessuale. Se incappi in una donna che si spoglia quando stai pensando a un’altra, non so di cosa si tratti. All’epoca diedi importanza a quell’evento, come se fosse un risarcimento divino dopo i sacchi di iuta. Ripensandoci adesso, mi sembra una cosa da niente. Avevo semplicemente visto una donna mezza nuda (…) dopo aver vissuto un quinto di secolo mi ero imbattuto soltanto in un paio di tette.

Giovane Babilonia, di Lu Nei (traduzione di Natalia Riva e Gloria Cella; cura e postfazione di Silvia Pozzi; Atmosphere Libri), vede il trentenne Lu Xiaolu, sorta di Holden Caulfield o Forrest Gump in salsa cinese, che, seduto su un marciapiede di Shanghai racconta a Zhang Xiaoyin, poetessa underground, la sua vita nella città immaginaria di Daicheng. Nasce un viaggio ironico nel ricordo, un esilarante romanzo di formazione collocato negli anni Novanta, decennio fondamentale che trasforma la Cina nella potenza economica odierna.

Lu Xiaolu non ha ambizioni, se non quella di diventare commesso in un negozio, e si ritrova, grazie ai magheggi del padre, a fare l’apprendista operaio in una fabbrica chimica che produce saccarina. Potrà così conoscere il micromondo industriale, i tradimenti, le gelosie, i sacrifici che nascono al suo interno. La cornice è fatta di case popolari, baraccopoli, quartieri fatiscenti, officine, mense affollate. Un grigiore che viene affrontato dal protagonista con l’arma dello sberleffo e di un umorismo straripante.

Quella mattina il nonno era andato al circolo. Kento si era finto assente contando sul fatto che la solita badante sarebbe passata in ogni caso a prelevare l’uomo accompagnandolo da sola alla fermata. Le avevano lasciato un mazzo di chiavi da usare nei giorni in cui non c’era nessuno a casa. Kento, trattenendo il fiato sotto le coperte mentre le voci della giovane badante e di suo nonno, entrambe stranamente vivide e squillanti, si andavano spegnendo in lontananza, ebbe come l’impressione d’essere stato escluso da una festa.

Il lato positivo della vita, di Hada Keisuke (traduzione e postfazione di Alessandro Passarella; Atmosphere Libri), con il quale l’autore si è aggiudicato il prestigioso Premio Akutagawa (dopo essere stato nominato tre volte per suoi precedenti lavori), offre un commovente e imperturbabile spaccato del Giappone contemporaneo, mettendo in luce l’imminente collasso di una società di anziani. Il ventottenne disoccupato Kento cerca di assicurare una dipartita decorosa a suo nonno. Ne nasce una riflessione sull’accettazione della morte e sulla consapevolezza del dolore.

Articolo Precedente

Green pass all’ingresso e mascherine, così riapre il teatro alla Scala di Milano. “Ritorno alla normalità, troppo tempo lontani dalla cultura”

next
Articolo Successivo

Andrea Scanzi riceve il Premio Jema “Personalità della Cultura, del Giornalismo e dello Spettacolo”: le immagini

next