Death of innocence, la morte dell’innocenza, è il nome del murales realizzato dai Bogside Artists in una delle strade di Derry, in Irlanda del Nord. E’ qui che cinquant’anni fa, alle 17,03 del 6 settembre 1971, fu uccisa Annette McGavigan, la centesima vittima civile dei Troubles, colpita a morte da un colpo d’arma da fuoco di un soldato britannico. Annette aveva 14 anni, era appena uscita da scuola e assieme ad altri compagni si trovava a giocare in quell’area che pochi mesi più tardi (il 30 gennaio 1972) sarebbe diventata il teatro della Bloody Sunday cantata dagli U2. L’indagine sulla morte di Annette è riuscita soltanto a stabilire, oltre ogni ragionevole dubbio, che il colpo letale durante uno scontro a fuoco con un gruppo di riottosi è stato esploso da un fucile dell’esercito inglese. E’ finita praticamente lì. Ora, invece di ricevere giustizia, i suoi parenti e quelli di tutte le vittime dei Troubles (i guai, come vengono chiamati i disordini in Nord Irlanda) fino alla Pasqua del 1998, rischiano di vedere svanire qualsiasi speranza di giustizia.

Nei giorni scorsi infatti il premier inglese Boris Johnson ha preso a cuore la proposta lanciata nel luglio scorso dal segretario di Stato per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis: “Per la riconciliazione dell’Irlanda del Nord l’unica soluzione è chiudere il ciclo delle indagini, fino ad oggi infruttuose, e cancellare l’eredità dolorosa dei Troubles. Questa idea verrà analizzata durante il processo di dialogo in corso con le parti”. Il problema è che una delle parti, appunto i familiari delle vittime filo-irlandesi e i movimenti a essi collegati, non sono dello stesso avviso.

Gli stessi che lunedì sono arrivati in massa a Londra per incontrare alcuni esponenti del Parlamento di Westminster e consegnare un documento al primo inquilino al numero 10 di Downing street. Una proposta inaccettabile, per le famiglie delle vittime, che considerano questa soluzione “una vergognosa amnistia” per cancellare la verità dietro decine di episodi drammatici e impuniti che hanno costellato il trentennio dal 1968 al 1998. Un colpo di spugna, insomma: “Il tentativo del governo britannico di interrompere tutti i processi e i percorsi giudiziari legati ai Troubles è di portata più ampia addirittura dell’amnistia voluta da Augusto Pinochet in Cile – commenta il professor Kieran McEvoy, ordinario di diritto al Queen’s University di Belfast – L’abbandono unilaterale dell’accordo firmato a Stormont (il Parlamento nordirlandese, ndr), una violazione del Good Friday Agreement del 1998, ma soprattutto un tradimento nei confronti delle vittime e delle promesse verso i loro cari”.

Compresa May McGavigan, sorella di Annette. Nonostante sia passato mezzo secolo da quel tragico lunedì pomeriggio, il dolore per la morte della 14enne è vivo come il primo giorno e lo si sente dalla sua voce, dalle sue parole: “In cinquant’anni non abbiamo ricevuto un briciolo di giustizia – racconta a ilFattoquotidiano.it -, non si è mosso nulla per arrivare alla verità sull’omicidio di mia sorella. Per noi è durissimo convivere con questa sensazione. Non accetto, così come gli altri fratelli e sorelle, che l’eredità delle violenze commesse nei confronti di persone e famiglie innocenti venga cancellata da una decisione politica. Annette era una ragazzina dolcissima, una stella e non c’è più”. A guidare la delegazione che lunedì è volata a Londra per far sentire la propria voce c’era anche John Teggart, figlio d Daniel, ucciso nella mattanza di Ballymurphy dell’agosto 1971: “Lo scopo della nostra missione alla Camera dei Comuni è duplice. Prima di tutto porre fine a questa serie di folli e disgustose proposte di amnistia da parte delle istituzioni britanniche. E poi, sottolineare, al contrario, ciò che le vittime e i sopravvissuti alle violenze chiedono: indagini, arresti, inchieste, processi e azioni civili e legali. Gli omicidi non possono essere amnistiati”.

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