“Se escludiamo che la ragione di questo sia l’incapacità di operatori e consulenti Rbm, resta un’unica ipotesi: tutto ciò fa capo ad un’azione congiunta per prevaricare l’iscritto, assillarlo con ogni mezzo e con il solo unico obiettivo di indurlo a rinunciare al rimborso. In breve: fare di tutto per non pagare”. Lo sfogo di un consumatore cliente di Intesa Sanpaolo Rbm Salute sintetizza efficacemente quanto denunciato da Altroconsumo all’Antitrust, che a sua volta ha comminato alla compagnia assicurativa sanitaria del primo gruppo bancario italiano una sanzione di 5 milioni di euro per pratiche commerciali scorrette, mentre al fornitore di Rbm, il provider Previmedical, è stato chiesto 1 milione di euro.

Variegati gli esempi citati nel provvedimento del Garante della concorrenza a carico della compagnia che oggi si definisce “l’Assicurazione Salute che mette la Persona al Centro“. Il più classico è quello delle spese dentistiche, categoria già di suo piuttosto spinosa da farsi rimborsare. Ebbene, un assicurato di Rbm riferisce che per una pratica relativa a un intervento odontoiatrico aperta il 15 dicembre 2020, prima gli è stato richiesto di integrare la prescrizione medica, poi un referto radiografico, da ultimo una correzione della fattura. Nonostante abbia completato tutto il percorso a ostacoli, la pratica di rimborso alla fine è stata respinta con la motivazione generica che l’integrazione non sarebbe stata effettuata correttamente.

Un altro cliente ha riferito che una richiesta di autorizzazione del 27 gennaio 2021 per eseguire un impianto dentario ha avuto come risposta una richiesta di integrazione documentale arrivata il successivo 19 febbraio, lo stesso giorno fissato per l’intervento, per di più 15 minuti dopo l’orario dell’appuntamento. Per tale motivo, ha ritenuto “evidente la volontà dell’assicurazione di procrastinare il più possibile la lavorazione della pratica al fine di impedire l’effettuazione della prestazione nei tempi concordati con il medico”.

A un altro assicurato è stato richiesto invece di integrare la documentazione con un “certificato, emesso da medico specialista, che attesti la data di applicazione e di rimozione del tutore/gesso”. Peccato che il consumatore avesse subito un intervento chirurgico di rimozione di un carcinoma maligno da un rene, che non può prevedere l’applicazione di un tutore/gesso. A un consumatore, poi, è stato richiesto il referto del pronto soccorso per una lesione che derivava da una degenerazione strutturale dell’articolazione e non da un trauma, come per altro testimoniava la documentazione allegata.

Nella sfilata delle risposte fuori luogo, non può mancare il caso del respingimento del rimborso relativo a un tampone per Covid-19 con la motivazione che “il termine per la ripresentazione delle spese sanitarie di competenza 2019 è scaduto il 30 giugno 2020”, di fronte alla quale il consumatore si chiede se Previmedical sia a conoscenza del fatto che i tamponi in questione sono stati realizzati a partire dalla seconda metà del 2020.

Non resta fuori neanche l‘oncologia. Ad altri altri due assicurati, per esempio, il rimborso è stato negato opponendo una “finalità estetica” delle prestazioni richieste. Una era l’asportazione chirurgica – a seguito di visita specialistica ed epiluminescenza – di nei atipici in paziente con familiarità per il melanoma e l’altra era un intervento chirurgico di sostituzione di protesi mammaria per rottura accidentale conseguente a trauma (certificato dal medico).

Sempre sul ramo oncologico, ma nel filone delle prestazioni a voucher preautorizzati, i reclami degli assicurati – un terzo dei clienti della compagnia di Intesa sono gli iscritti del fondo sanitario dei metalmeccanici Metasalute – lamentano le difficoltà incontrate per farsi autorizzare prestazioni che prevedono cicli di più sedute. Quindi fisioterapia, ma anche radioterapia, per le quali è necessario inserire una richiesta per ogni seduta.

Per quanto riguarda gli assicurati, “nel caso di un ciclo di radioterapia prescritto a un malato oncologico, Previmedical ha autorizzato solo la prima seduta, subordinando le successive alla conferma di volta in volta allo stesso professionista della presenza del paziente da parte della struttura ospedaliera
e alla contestuale comunicazione telefonica da parte del paziente della data di successiva seduta (quella del giorno seguente)”, spiega il Garante. Una procedura talmente ostica che l’Istituto Europeo di Oncologia si è rifiutato di seguirla.

La replica della compagnia è stata che la scelta “sarebbe dovuta alla circostanza che i cicli di cura possano avere una durata eccedente la vigenza della polizza, con conseguente necessità di verificare che, nel momento in cui la prestazione viene effettuata, la polizza sia attiva e il premio regolarmente pagato“. La ricostruzione, commenta ancora l’Antitrust, “è smentita dalla documentazione acquisita in sede ispettiva, da cui emerge che ISP RBM ha dato indicazioni al Provider di autorizzare tali terapie per seduta e non per ciclo di cura per effettuare un più efficace controllo della spesa. Il controllo della spesa, così come realizzato, ha avuto ripercussioni negative sulla continuità delle prestazioni, al di là di ogni legittimo criterio di contenimento dei costi. Gli assicurati che si sottopongono a cicli di radioterapia o di fisioterapia lamentavano che “con il sistema di conferma dei voucher singoli [è] molto difficile/impossibile rispettare le prescrizioni mediche” in quanto, una volta effettuata la prima seduta, erano costretti a comunicare a Previmedical la data di successiva seduta (spesso quella del giorno seguente) affrontando anche le difficoltà di contattare la centrale operativa” della compagnia.

Che alla fine deve aver capito l’antifona, se nel maggio del 2021 ha modificato la prassi consentendo un’unica autorizzazione per l’intero ciclo di cure. La consapevolezza che qualcosa non andasse come doveva, del resto, è serpeggiata anche prima se, come si legge in un verbale ispettivo, un manager della compagnia il 17 marzo 2020 ha esortato i liquidatori a “verificare nel merito la documentazione allegata alle domande di rimborso e soprattutto alle pec perché un diniego reiterato, non suffragato da prove o valide argomentazioni e sconfessato da una semplice lettura del contratto e della documentazione inviataci, espone la compagnia a un rischio reputazionale non di poco conto”.

Parole sante, non tanto perché sotto accusa è finita la compagnia della banca di sistema per definizione, che in seguito al provvedimento ha precisato in una nota che le contestazioni “si riferiscono principalmente al periodo luglio 2018 – luglio 2020, antecedente all’acquisizione di Rbm Salute da parte di Intesa Sanpaolo Vita, concretizzatasi l’11 maggio 2020 con la nascita di Intesa Sanpaolo Rbm Salute”. E ha sottolineato come l’indice dei reclami Ivass di Intesa Sanpaolo Rbm Salute sia passato dai 12,94 reclami ogni 10.000 contratti del dicembre 2018, ai 3,94 reclami ogni 10.000 contratti del giugno 2021.

Quello che viene danneggiato dalla vicenda, tuttavia, è soprattutto l’intensa attività di lobby che da almeno un decennio le compagnie assicurative stanno conducendo per riuscire a integrare il sistema sanitario con le loro polizze, costituendo il cosiddetto terzo pilastro della sanità che nel libro dei sogni della politica che va a braccetto con le assicurazioni, dovrebbe dare il contributo fondamentale per ristabilire i diritti alla salute di tutti i cittadini. Ovviamente dopo quello dei fondi di categoria, il secondo pilastro, che a loro volta si affidano alle assicurazioni private per la tutela della salute dei propri iscritti. Come appunto Metasalute che rappresenta da solo un terzo della clientela di Intesa Sanpaolo Rbm.

Il tema è ovviamente caro anche a Rbm il cui amministratore delegato Marco Vecchietti ha recentemente dichiarato che “una delle lezioni importanti che ci ha fornito la pandemia è che per risolvere la maggior parte delle problematiche indotte da questa emergenza, che possono verificarsi peraltro anche in situazioni di maggior pressione sul sistema sanitario diverse da questa, si dovrebbe assegnare alla Sanità Integrativa un ruolo “istituzionale” di affiancamento del Servizio Sanitario Nazionale”. Secondo il manager che guida Rbm da prima dell’arrivo di Intesa, “le polizze integrative, infatti, portano all’interno del Sistema Sanitario un doppio livello di protezione per i cittadini: non solo un supporto economico per sostenere i costi delle cure a proprio carico, ma anche la garanzia di accesso personalizzato a una rete di strutture convenzionate e a produttori/fornitori di beni e mezzi sanitari di approvvigionamento ulteriori rispetto a quelli del Servizio Sanitario Nazionale”.

Rbm nel 2020 ha incassato circa 495,3 milioni di euro in premi per un utile d’esercizio di quasi 61 milioni di euro, l’anno scorso era “tra le imprese con il peggiore indicatore nella classifica reclami per il ramo danni (escluso RC auto)”, come sottolinea l’Antitrust.

Non ha certo giovato alla situazione, infine, il fatto che la compagnia abbia opposto all’Authority di non avere rapporti economici con il consumatore tutelati dal Codice del Consumo, visto che il contratto è stipulato con aziende o fondi sanitari. Isp Rbm, replica il Garante, “instaura comunque con l’utente una relazione di carattere economico tutelata dal Codice del Consumo. Il consumatore, infatti, anche se terzo rispetto al contratto tra fondi sanitari e professionista, è il soggetto il cui interesse costituisce la causa dello stesso rapporto negoziale. L’intervento del fondo sanitario nell’acquisto dei servizi assicurativi della Compagnia non è quindi idoneo a escludere l’applicazione della normativa sulle pratiche commerciali scorrette tenuto conto che il destinatario finale di tale rapporto e l’utilizzatore del servizio è pur sempre il consumatore”.

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