Il green pass conferito a chi si è vaccinato contro il Covid ha causato molte adesioni alla campagna vaccinale e un po’ di malumori. E’ certamente una misura il cui scopo è spingere la gente ad accettare la vaccinazione ed è comprensibile che una spinta in qualsivoglia direzione possa essere sgradita.

La valutazione del green pass è, in pratica quella della relazione tra il bene comune e il diritto di scelta dell’individuo. Si può infatti senz’altro ammettere che l’interesse “meccanico” dell’individuo in questo caso coincide con quello della comunità, perché il vaccino protegge tanto l’individuo quanto la comunità, anzi l’individuo più della comunità; ma l’interesse oggettivo può non coincidere con la scelta soggettiva, e del resto stiamo raccogliendo in questo periodo le firme per il referendum sull’eutanasia passiva, una ovvia conquista di civiltà, che riconosce il diritto di ciascuno a decidere su sé stesso. Far prevalere l’interesse della comunità sulla volontà del singolo è una decisione pesante, che richiede motivazioni forti, anche se soggettive.

Io non pretendo di fornire una valutazione morale del green pass o di un eventuale obbligo di legge: lo scopo di questo post è fare il punto su alcune proprietà dei vaccini che sono rilevanti per questa valutazione.

Un evento epidemico finisce quando una frazione sufficiente della popolazione si immunizza a causa della malattia o del vaccino. La fine dell’epidemia è dovuta al fatto che scarseggiano i potenziali ospiti non immuni, e non alla scomparsa del virus, che continua a circolare in misura meno appariscente e può sempre causare nuovi episodi epidemici quando il virus muta o quando le nuove nascite riforniscono la popolazione di soggetti non immuni, come avviene per la parotite, il morbillo, etc. L’eradicazione di un germe è un obiettivo diverso e più difficile dell’arresto di un episodio epidemico. Il vaccino è tanto più fondamentale quanto più la malattia è grave; nel caso del Covid la vaccinazione è di particolare importanza per adulti e anziani, nei quali la malattia ha una letalità relativamente elevata; meno nei bambini, nei quali la malattia è quasi sempre benigna.

I vaccini attualmente disponibili contro il Covid hanno grandissima efficacia nel prevenire le forme gravi della malattia e la letalità, mentre riducono senza annullarla la probabilità delle infezioni lievi o asintomatiche. Questa caratteristica non è affatto unica, ed è anzi abbastanza comune: ad esempio il vaccino di Salk per la poliomielite non impedisce le infezioni intestinali ma previene la diffusione del virus della polio dall’intestino al sistema nervoso attraverso il sangue. Per contro il vaccino di Sabin, sempre contro la polio, impedisce sia l’infezione intestinale che la diffusione al sistema nervoso. Entrambi i vaccini stimolano una risposta immunitaria nel sangue grazie ai linfociti B e T, ma soltanto il secondo stimola anche una risposta immunitaria a livello delle mucose intestinali.

I vaccini disponibili per il Covid si comportano come il vaccino di Salk, e in un soggetto vaccinato l’infezione locale delle vie respiratorie non è impedita ma è abortiva perché sono impedite le fasi successive, ematogene, della malattia. Il soggetto vaccinato può quindi, seppure con minore probabilità rispetto al soggetto non immune, ospitare il virus e risultare moderatamente contagioso. E’ plausibile che l’infezione naturale possa invece conferire immunità anche a livello delle vie respiratorie.

Una importante conseguenza delle proprietà dei vaccini contro il Sars-Cov-2 attualmente in uso è quindi che la protezione “egoistica” del vaccinato è maggiore della protezione “altruistica” dei suoi eventuali contatti. Io personalmente mi sono vaccinato non appena è stato possibile farlo per la mia categoria professionale e di età e consiglio fortemente a tutti gli adulti e anziani di farlo perché la mortalità del vaccino (nell’ordine di 1-3 per milione) è enormemente inferiore a quella del Covid (nell’ordine di 5.000 per milione nella popolazione generale). Però il vaccino è un atto medico, e come tutti gli atti medici richiede il consenso informato del paziente: il paziente ha il diritto di rifiutarlo, accettando un maggior rischio personale.

L’obbligatorietà delle vaccinazioni dell’infanzia è giustificata dal fatto che se il genitore potesse rifiutarle accetterebbe un maggior rischio per il figlio e non per sé. Rendere obbligatorio il vaccino contro il Covid è giuridicamente possibile e adottare il green pass significa imporre un obbligo soft; però la protezione della popolazione non immune o fragile sarà incompleta perché i vaccini in uso riducono ma non impediscono la circolazione del virus.

La principale ragione dell’obbligo resta quella di evitare il sovraccarico delle strutture di ricovero, che comunque possono tollerare una certa frazione di popolazione non immune. Ovviamente, una volta raggiunta una certa percentuale di immunizzazione, non hanno più senso le misure di contenimento non farmacologiche (lockdowns, DAD, etc.): chi ha deciso di non vaccinarsi si è assunto consapevolmente un rischio, chi si è vaccinato è protetto, il sovraccarico delle strutture è diventato improbabile.

Resta la preoccupazione per la popolazione fragile, che rimane a rischio nonostante il vaccino o che non ha potuto farlo; ma questa fascia deve essere protetta con misure diverse e specifiche, perché come già detto il vaccino non impedisce la circolazione virale.

Mentre nelle dittature l’interesse della società prevale sempre sulla volontà del singolo, nelle società democratiche è in genere vero il contrario, a meno che il vantaggio oggettivo non sia molto grande, come accadde ad esempio nel caso dell’eradicazione del vaiolo. Nel caso del Covid, a mio parere, la valutazione è aperta e ciascuno può soggettivamente giudicare se un obbligo vaccinale, hard o soft, sia giustificato; l’eventuale atto legislativo non potrà non tenere conto della volontà della maggioranza dei cittadini.

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