Da almeno sei mesi si parla di nuovi farmaci antivirali in arrivo per l’autunno. Da quello della Pfizer a quello della Roche, da Merck alla Ridgeback Biotherapeutics. Le aspettative sono molto alte, ma è importante capire a che punto siamo. “Vaccinarsi è l’unico modo per essere davvero protetti”, spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, “ma non c’è solo il vaccino”. “Più ci si vaccina – sottolinea Remuzzi – più ci saranno persone per le quali il vaccino non ha saputo indurre una risposta immune adeguata”. Per questo è cruciale continuare lavorare sugli approcci farmacologici, spiega il direttore dell’Istituto Negri, spiegando però come sia ancora “troppo presto” per inserire questi approcci nelle linee guida per il trattamento del Covid. “Servono studi controllati, con grandi numeri di pazienti”, prosegue Remuzzi, ma arriverà un giorno in cui “il medico di famiglia sarà di nuovo il protagonista delle cure e molti potranno guarire a casa senza bisogno dell’ospedale e della rianimazione”.

La variabile tempo non è neutra, la pandemia avanza e stando agli ultimi dati israeliani – comunicati a ilfattoquotidiano da Cyrille Cohen, consigliere per le vaccinazioni del ministro della Salute – “tra i 60-90 anni abbiamo 46 persone in condizioni gravi, 10 non sono vaccinate. La possibilità di ottenere una forma grave è quasi 3 volte più alta se non si è vaccinati”. In Italia, i dati dell’Iss parlano di una differenza di incidenza 10 volte superiore a quella israeliana. Quindi, da noi, la riduzione dei casi gravi attesi dalla vaccinazione è molto maggiore che in Israele. In questo contesto, l’attenzione sui nuovi farmaci antivirali sta accelerando. Senza dimenticare i quattro anticorpi monoclonali attualmente in revisione da parte dell’Ema di cui “almeno tre saranno approvati entro la fine dell’anno”, secondo il commissario per la salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides. Con il professor Remuzzi abbiamo quindi analizzato quali sono i nuovi farmaci antivirali allo studio e quali i migliori approcci farmacologi già disponibili:

Direttore, a che punto siamo arrivati con l’antivirale “Molnupiravir” (noto anche come EIDD-2801/MK-4482), sembrava molto promettente, e potrebbe impattare in modo importante sulla strategia contro il Covid?
Tra i farmaci antivirali che si possono prendere per bocca c’è il Molnupiravir. È stato studiato negli Stati Uniti in North Carolina in più di 200 persone. Chi assumeva Molnupiravir per bocca (800 mg) aveva un’impressionante riduzione della carica virale al giorno 3. E al giorno 5 nessuno dei partecipanti che aveva ricevuto Molnupiravir aveva più virus nelle sue vie respiratorie. Il farmaco era ben tollerato e gli eventi avversi sono assolutamente modesti. Lo studio dimostra l’importanza di agire precocemente nei confronti del virus. Lo hanno fatto anche altri con altri farmaci. Molnupiravir in un altro studio riduce anche la capacità del virus di replicarsi, per lo meno negli animali. Questa è stata la ragione che ha spinto i ricercatori a provarlo nell’uomo.
Lo studio clinico è stato autorizzato in Italia il 21 gennaio 2021, è in fase 2/3, randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco in partecipanti adulti non ospedalizzati con COVID-19. La sperimentazione si conclude il 23 febbraio 2022, ndr

Un altro farmaco antivirale che aveva raccolto molte aspettative mesi fa, in proiezione dell’autunno, è AT-527, della Roche. Anche qui, a che punto siamo?
Ci sono altri antivirali capaci di ridurre la replicazione virale che sono stati sperimentati in pazienti ospedalizzati. Si tratta di 70 pazienti, anche qui il farmaco di Atea AT-527 ha ridotto rapidamente la carica virale, al punto che dopo 2 giorni di somministrazione i pazienti che ricevevano questo farmaco avevano un 80% di riduzione della carica virale rispetto al placebo. Gli stessi studi sono stati ripetuti al giorno 8 con risultati identici. Anche AT-527 è sicuro e ben tollerato, in questi pazienti non ci sono stati eventi avversi seri. Eventi avversi trascurabili erano distribuiti allo stesso modo tra chi riceveva AT-527 e chi riceveva il placebo. Si tratta di uno studio di fase 2, sarà importante vedere cosa succede quando saranno completati gli studi di fase 3.
Lo studio clinico di fase 2 si concluderà il 22 settembre 2021, ndr

Anche Pfizer ha il suo antivirale, il PF-07321332. Un farmaco in blister, facilmente utilizzabile anche a casa. A che punto è la sperimentazione e la possibile uscita sul mercato?
PF-07321332 è un altro farmaco antivirale che ha dimostrato di essere efficace e sicuro per il trattamento di adulti ammalati di Covid non ancora ospedalizzati ma a rischio di sviluppare una malattia severa. Questo studio durerà 24 settimane e non è ancora finito. PF-07321332 è un inibitore delle proteasi che ha potenti attività antivirali in laboratorio contro Sars-CoV-2 e un’attività nei confronti di altri coronavirus. Si lega a un enzima del virus, la proteasi appunto, e in teoria fa sì che il virus non sia più capace di replicarsi nelle nostre cellule. Farmaci del genere vengono utilizzati normalmente per bocca per trattare HIV e epatite C da soli o in combinazione con altri antivirali. PF-07321332 è stato pensato come una potenziale terapia per bocca che può essere prescritta ai primi segni di infezione senza aspettare che il paziente arrivi ad avere debito di ossigeno o necessità di ospedalizzazione.
La fase 1 su 78 partecipanti si conclude il 2 settembre, è un randomizzato in doppio cieco. Mentre, in parallelo, il 13 luglio è partita la fase 2/3 su 2.260 pazienti, e si concluderà il 15 febbraio 2022, ndr

A Padova è partito ad aprile il trial clinico – approvato dall’ISS – con il nafamostat mesilato. Molto promettente?
Nafamostat è un inibitore delle serinproteasi che è attivo su uno dei due recettori (TMPRSS2) importanti perché il virus riesca ad aggredire le cellule. Era già stato usato in passato per il trattamento della pancreatite e sarebbe capace di inibire l’infezione da Sars-CoV-2 nelle cellule polmonari, per lo meno in laboratorio. Due studi sono ancora nelle fasi iniziali, sono stati trattati pochissimi pazienti con risultati controversi. Qualcuno sostiene che questo farmaco possa avere effetti collaterali importanti a livello del sistema nervoso centrale.
Lo studio clinico di fase 2/3, su 256 pazienti, randomizzato in doppio cieco, si concluderà a dicembre 2021, ndr

Tra gli off-label, le vorrei chiedere cosa pensa di un farmaco che sta facendo molto discutere: Ivermectina. È un farmaco interessante o meno?
Gli studi attualmente in corso per valutare il trattamento Ivermectina per Sars-CoV-2 sono almeno 20. Le evidenze a supporto di una sua potenziale efficacia sono abbastanza incoraggianti. Lo studio migliore – approvato da Aifa – penso sia stato fatto da Zeno Bisoffi e dai suoi collaboratori dell’Ospedale Negrar di Verona. Hanno studiato due dosi di Ivermectina, reclutato più di 100 pazienti nelle fasi davvero iniziali della malattia, quando ancora non avevano sintomi o avevano pochissimi sintomi. I risultati di questo studio saranno disponili a breve e speriamo possano avere un impatto importante nel trattamento del Covid, si tratta probabilmente di aspettare solo poche settimane.

Direttore, lei che idea si è fatta degli approcci farmacologici migliori già disponibili?
Da tutto questo emerge qualcosa che finora è stato molto trascurato: i pazienti che svilupperanno Covid-19 (la malattia) a mio avviso andrebbero trattati subito, ai primi sintomi, senza nemmeno aspettare l’esito del tampone. Ci sono vari approcci, si possono utilizzare antinfiammatori, come ha fatto la dottoressa Elena Consolaro con altre quattro dottoresse di Varese, bravissime e impegnate come pochi nell’andare a visitare a casa i pazienti e nel trattarli precocemente in collaborazione col Prof. Suter e con i ricercatori dell’Istituto Mario Negri. Ne è risultato uno studio, non certo perfetto, che dimostra però in modo convincente che un trattamento precoce con nimesulide o celecoxib (ma anche con aspirina, se ci fosse intolleranza ai precedenti due farmaci) riduce la necessità di ricorrere all’ospedale del 90%. Sempre queste dottoresse con lo stesso tipo di organizzazione sono oggi protagoniste di un altro studio, che vedremo se confermerà o meno i risultati del primo. Potrebbe essere, se fosse così, davvero una svolta, nella cura della malattia.

Ci sono altri farmaci già in commercio che hanno ottenuto risultati significativi?
Un altro studio (questa volta prospettico) dei ricercatori di Oxford ha ottenuto risultati simili: con due “spruzzi” al giorno di un preparato usato comunemente per l’asma che contiene Budesonide, un cortisonico, utilizzato entro 7 giorni dall’inizio dei sintomi, c’è una riduzione dell’80% della necessità di ricorrere all’ospedale.

Questi ultimi approcci farmacologici che ha descritto potrebbero essere inseriti nelle prossime linee guida di Aifa?
Qualcuno si è lamentato perché Aifa e ministero della Salute non hanno inserito questi approcci nelle linee guida per il trattamento del Covid. È troppo presto: i lavori sono pubblicati e qualunque medico può riferirsi alla letteratura medica per trattare il suo paziente, se ne è convinto. Ma perché una terapia diventi oggetto di linee guida o di raccomandazioni da parte delle autorità regolatorie serve molto di più. Servono studi controllati, con grandi numeri di pazienti, prospettici, non ne basta uno solo, devono essere confermati da diversi gruppi di ricerca. Indubbiamente succederà, quel giorno forse qualcosa potrebbe cambiare nel nostro approccio a questi pazienti. Il medico di famiglia sarà di nuovo il protagonista delle cure e molti potranno guarire a casa senza bisogno dell’ospedale e della rianimazione.

Direttore, adesso una domanda sugli scenari del prossimo autunno, quale strategia ritiene più sensata ed utile?
Vaccinarsi è l’unico modo per essere davvero protetti. Ma non c’è solo il vaccino. Più ci si vaccina – e dal momento che nessun vaccino è efficace al 100% – più ci saranno persone per le quali il vaccino non ha saputo indurre una risposta immune adeguata che potranno contrarre la malattia ed eventualmente essere ricoverati in Ospedale. Lo dimostrano l’esperienza di Israele e quella inglese, ma questo non vuole dire che non ci si debba vaccinare. Completare il ciclo con le due dosi è l’unico modo per essere davvero protetti, ma non c’è solo il vaccino.

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