La finale degli Europei non più a Londra, ma a Roma. Sembrerebbe un azzardo in tempi di pandemia. Una scommessa quasi impossibile da vincere, con la sede già designata da anni. Quasi una gaffe, insomma. Se a lanciare l’idea non fosse stato Mario Draghi in persona, spalleggiato da Angela Merkel. Una comunione di intenti Italia-Germania, in chiave anti-Brexit. L’Europeo che da partita di calcio diventa terreno di scontro politico internazionale. L’appello di Draghi (“Niente finale dove ci sono troppi contagi”, quindi no a Londra, sì a Roma), lanciato dopo il vertice a Berlino, aveva preso tutti in contropiede. Soltanto ieri mattina, Gabriele Gravina, il n.1 della FederCalcio a cui fa capo l’organizzazione italiana, aveva escluso qualsiasi possibile spostamento della Final Four (ed un eventuale coinvolgimento di Roma). Anche la Uefa non ne sapeva nulla: la dichiarazione di Draghi non era stata anticipata da nessun tipo di colloqui preparatori. Tanto che la massima associazione calcistica continentale è stata costretta a smentire precipitosamente, con un comunicato dai toni anche piuttosto seccati: “Non ci sono piani per cambiare la sede”.

Ma allora da dove nasce l’intervento a gamba tesa di Mario Draghi? Tutto parte dalle voci, diffusesi negli scorsi giorni, di un possibile riallocamento della Final Four. Prevista a Wembley, che Boris Johnson aveva promesso festante e gremito, addirittura al 100% della capienza per la finalissima. Poi però è scattata l’emergenza per la variante Delta, che sta causando una nuova impennata di contagi nel Regno Unito e ha costretto il primo ministro britannico a rinviare l’uscita dalle restrizioni di un mese. Con un inevitabile contraccolpo sugli Europei. Di qui i colloqui (questi non smentiti dall’Uefa) per capire come rivedere l’organizzazione della fase finale. E le indiscrezioni (più una minaccia che altro) di uno spostamento. Fino a ieri l’alternativa sembrava Budapest, dove si vive come se il Covid non esistesse e lo stadio (moderno, bellissimo, già scelto per la Supercoppa europea 2020) è pieno al 100%. Ma Draghi ha letteralmente sbattuto sul tavolo l’ipotesi Roma.

Che non si tratti di un’uscita estemporanea, ma di un piano diplomatico ben calibrato, lo hanno chiarito definitivamente le dichiarazioni di oggi di Angela Merkel: “La Gran Bretagna è una zona a rischio variante del virus. Io credo, anzi spero che la Uefa agisca in modo responsabile. Non troverei positivo che ci fossero stadi pieni lì”. È la dimostrazione, se ma ce ne fosse bisogno, dell’esistenza di un asse Roma-Berlino, che vuole giocare la sua partita proprio sugli Europei di calcio. È una sfida dell’Unione Europa (e dei suoi due leader più forti) al Regno Unito di Boris Johnson, con cui i rapporti non sono semplicissimi dopo la Brexit. Una battaglia combattuta anche a colpi di quarantene reciproche (il green pass ad esempio non vale per l’ingresso in Uk), e che allontana sempre di più Londra dal resto del continente. Ma è uno sgarbo anche a Viktor Orban, il leader ungherese che un po’ come Erdogan rientra in quella categoria dei “dittatori utili” con cui Draghi non è mai tenero. Budapest era (e probabilmente sarebbe ancora) la candidata più credibile in caso di spostamento. Però la capitale ungherese è anche il teatro delle discriminazioni, dei canti omofobi e razzisti che già imbarazzano l’Uefa, della chiusura dei confini. Non il massimo per la finale dell’Europeo della ripartenza. Roma, con la sua eleganza, il suo prestigio, sarebbe ben altra vetrina. Ed è su questo che ha puntato Draghi, con l’appoggio di Merkel (magari a Monaco di Baviera potrebbe spettare una o due partite in un’ipotetica ridistribuzione delle Final Four, Draghi non ha mai parlato esplicitamente solo di Roma).

Che poi tutto questo accada davvero resta difficile, per non dire improbabile. Togliere la Final Four a Londra sarebbe un grave affronto a Johnson, a cui il n. 1 Uefa Ceferin deve il favore di aver affossato la Superlega. Per non parlare dei problemi organizzativi e di ulteriori danni economici che la Uefa spera di non dover affrontare. La vera trattativa oggi è sulla capienza di Wembley (si parla di un’intesa già raggiunta a quota 60mila persone per le ultime tre partite), e soprattutto per una esenzione alla quarantena per addetti ai lavori, sponsor e vip, le uniche presenze a cui l’Uefa tiene davvero. Senza contare che, se l’Uefa davvero andasse via da Londra, lo farebbe per trovare una situazione più favorevole, senza limitazioni e restrizioni. Davvero l’Italia si prenderebbe il rischio di portarsi in casa la finalissima e tutto il carrozzone che le ruota intorno, almeno 100mila persone da ogni parte d’Europa e senza quarantena (la Uefa non l’accetterebbe mai)? Certo, il pressing sull’Uefa però è in aumento. L’unica, vera condizione per uno spostamento è che sia Londra, cioè Johnson, a tirarsi indietro, per il precipitare della situazione epidemiologica e l’impossibilità sanitaria ad affrontare l’evento. In quel caso allora l’Uefa avrebbe bisogno di un piano B. Che può essere Budapest. O, meglio ancora, Roma. Parola di Draghi.

Twitter: @lVendemiale

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