Saman non voleva vivere ‘all’occidentale’, voleva semplicemente vivere. Dobbiamo utilizzare il tempo opaco che ci divide dal probabile ritrovamento delle sue spoglie in maniera dissonante dal clangore del dibattito attuale che sta virando sulla ‘guerra di religione’, per focalizzarci sulla beluinità originaria ed irriducibile di alcuni essere umani.

Come qua scrissi, quando nel Padrino Frank Pentangeli con la sua testimonianza sta per accusare la famiglia dei Corleone, è la presenza in aula di un parente siciliano che lo fa recedere dai suoi intenti accusatori, preferendo la via del suicidio a quella del ‘disonore’. Nel 2010 in provincia di Modena, Kahn Ahmad Butt, pachistano di 53 anni, uccise a mattonate la moglie, ‘rea’ di volersi opporre al matrimonio combinato della figlia Nosheen, presa a sprangate dal fratello minore.

Ahmad Butt e lo zio belva che oggi avrebbe strangolato Saman sono individui abietti e strutturalmente assassini, che condividono la medesima anima perversa e odiatrice della vita che accomuna la soldataglia che si arruola nelle file delle formazioni estremiste religiose. Farlo in nome di un Dio, preservare un criminale ‘senso dell’onore’ sono etichette utili a mascherare la ferocia assassina di scarti dell’umanità.

Spostare l’asse solo ed esclusivamente sul piano del conflitto religioso, anche se costituisce un linguaggio facilmente spendibile e condivisibile, elettoralmente assai conveniente, non aiuta a fare luce sull’esistenza, trasversale e aconfessionale, di figuri che odiano tutta quella vita che non rientra nel loro possesso. Parliamo di uomini, laici e devoti (?), che considerano la vita della donna come un erbaccia da recintare, sfalciare, bruciare se sconfina nel campo del vicino, nei confronti del quale il proprio ‘nome’ non può essere intaccato. Sono belve feroci, macchine arcaiche costruite su codici elementari e binari che vedono nella supremazia sulla donna e sulla salvaguardia del proprio nome i soli strumenti coi quali regolare i rapporti col mondo.

Nel caso di Butt la ‘direttiva’ di uccidere la donna proveniva dal Pakistan, nel caso della belva che avrebbe ucciso Saman non è ancora dato saperlo. Ma, detto questo, tradizione, onore, Dio null’altro sono che una enorme sovrastruttura tesa a coprire e giustificare un vigliacco e castrato senso padronale che alcuni uomini tramando ai loro figli, tangibile eredità della loro impotenza a vivere nel mondo. Omuncoli che utilizzano la religione (o per meglio dire la lettura di alcuni paragrafi particolarmente violenti incisi nei testi sacri delle religioni monoteiste) come strumento per dare sfogo e forma a pulsioni umane violente ed ancestrali, preesistenti.

Hanno gioco facile, poiché tutti i libri sacri grondano di sangue, colmi di riferimenti utili a sdoganare e ‘legittimare’ una ferocia d’animo che, senza un qualche appiglio posticcio, resterebbe confinata nelle quattro mura di casa, descrivendo semplicemente le livide gesta di padri padroni che menano, umiliano, sottomettono quel mondo femminile che per costoro costituisce un perturbante inaffrontabile da eliminare con qualsiasi mezzo.

So bene che ‘assolvere’ la religione e cercare la responsabilità individuale è qualcosa di fuori moda, oltretutto in un momento politico ove la guerra confessionale diverrà uno dei temi scottanti delle prossime elezioni. Tuttavia episodi come questo devono rafforzare un senso critico e fornire una spinta ad operare nel versante politico con opere di prevenzione e dissuasione, facendo valere la legge e lasciando Dio alle sue faccende. A noi la scelta. Possiamo ribadire la forza dello Stato di diritto, fare luce su mondi oscuri, realtà segreganti, squarciare i veli di omertà e pelosa noncuranza che solitamente la società mette in atto verso queste zone blindate della città. Possiamo garantire alle donne che rifiutano i matrimoni combinati una reale possibilità di uscita, potenziare i servizi territoriali facendo valere la laicità sulla quale questi si fondano come grimaldello per aprire mura nelle quali vigono usanze tribali ed assassine. Possiamo isolare queste belve feroci superando un pretestuoso quanto pavido senso di ‘rispetto’ dell’Altro. Uno stato laico deve destinare molte più risorse alla difesa della donna che chiede di uscire da questi inferni.

Alle Saman che vivono in Italia è necessario far sapere che le follie padronali del loro marito, fratello, zio o qualsiasi altro essere le voglia ingabbiare sono un arcaico laccio che una nazione deve saper tagliare. Le tante Nosheen devono avere la garanzia di essere ascoltate, credute e protette. Questi esseri abietti, sovrani di piccoli regni familiari, vanno laicamente isolati, perseguiti e messi in condizione di non nuocere. Oppure possiamo lasciare intatte le loro responsabilità individuali e innescare l’ennesima inutile, pretestuosa, lunga e ritrita guerra di religione. Il che, per certi versi, non farebbe che legittimare l’agire di queste iene.

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