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Caso Pell, oltre un milione di dollari di multa per 12 testate giornalistiche che hanno seguito il processo senza fare il nome del cardinale

Ventuno capi di imputazione per oltraggio alla corte. I cronisti rischiavano il carcere e le società hanno quindi raggiunto un accordo con i pubblici ministeri
Caso Pell, oltre un milione di dollari di multa per 12 testate giornalistiche che hanno seguito il processo senza fare il nome del cardinale
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Oltraggio alla corte e oltre un milione di dollari australiani da pagare. I condannati sono incredibilmente dodici testate giornalistiche sanzionate per aver violato il blackout mediatico del 2018 imposto dalla giustizia sul processo per pedofilia del cardinale George Pell, che poi fu assolto. Il porporato era stato condannato dal tribunale australiano per pedofilia per abusi sessuali su minori ma poi assolto dall’Alta Corte australiana un anno dopo con la motivazione che così era stata “corretta una grave ingiustizia”. Pell, che si è sempre dichiarato innocente, era tornato in libertà e aveva lasciato il carcere di Barwon.

Le testate, giornali, siti web e stazioni radio, sono state giudicate colpevoli di ben 21 capi di imputazione non aver rispettato un “ordine” che imponeva ai media di non parlare del processo all’ex prefetto dell’Economia del Vaticano per evitare di influenzare i giurati. I media sono stati multati per un totale di 1,1 milioni di dollari australiani (circa 700.000 euro) e dovranno pagare ulteriori 650.000 dollari per le spese legali. La maggior parte delle multe sono state inflitte a giornali e siti web appartenenti ai due maggiori gruppi di media australiani, News Corp di Rupert Murdoch e il suo concorrente Fairfax Media, ora di proprietà di Nine Group. Secondo i giudici i media hanno “usurpato” la funzione del tribunale in tal modo prendendosi la “responsabilità di determinare dove dovrebbe trovarsi l’equilibrio tra il diritto di Pell a un secondo processo equo con accuse separate da parte di una giuria imparziale”.

La corte ha rigettato le argomentazioni degli accusati, secondo quanto riportano i media australiani, secondo cui le violazioni erano dovute a un’onesta ma errata convinzione che gli articoli non avrebbero violato l’ordine. In caso di condanna i cronisti rischiavano il carcere e quindi le società le società si sono dichiarate colpevoli in un accordo con i pubblici ministeri. All’inizio editori e giornalisti dovevano rispondere di un totale di 100 capi di imputazione. Il nome di Pell non compariva negli articoli. Secondo il giudice Dixon: “Non si sarebbe mai immaginato che semplicemente non identificare Pell come accusato avrebbe raggiunto questo scopo. Non importava che i media percepissero che i parametri del dibattito sull’interesse pubblico erano cambiati, e che tale percezione era sbagliata”. Nella classifica mondiale per la libertà della stampa l’Australia si trova al 25° posto ben 16 posizioni davanti l’Italia dove è pur possibile riportare cosa accade nei processi che sono considerati di interesse pubblico.

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