Ho avuto la fortuna di vivere a Milano nella prima metà degli anni Sessanta. E poiché mio padre (che era stato il “prefetto della Liberazione” nel biennio ’46 -’47) era buon amico di Remigio Paone, il più grande impresario di varietà, gestore del Teatro Nuovo, ed anche di Paolo Grassi (con il suo Piccolo Teatro) ho visto da un lato i grandi varietà di Wanda Osiris, di Macario, di Billi e Riva e soprattutto di Totò (con la famosa scena del vagone letto in cui Isa Barzizza indossava un pagliaccetto nero per l’epoca scandaloso); dall’altro il grande teatro di prosa, con i testi per noi arditissimi dei grandi autori americani (indimenticabili: Morte di un commesso viaggiatore, in cui i genitori erano Paolo Stoppa e Rina Morelli e i figli Marcello Mastroianni e De Lullo, e Un tram che si chiama desiderio). Ma di uguale livello le rappresentazioni “classiche”, a partire dal Giardino dei ciliegi. Per non parlare delle commedie di Eduardo e di Peppino De Filippo.

Anche a Roma, dove sono tornato nel 1956 (terzo anno di liceo) ho trovato un teatro di prosa piuttosto ricco (ricordo fra gli altri spettacoli Il diario di Anna Frank, con una grande Anna Maria Guarnieri, L’istruttoria di Peter Weiss, La vita di Galileo e i grandi drammi shakespeariani di Vittorio Gassman, che in Otello si alternava nelle parti dello stesso Otello e di Iago con Salvo Randone). E anche nel varietà, il Sistina metteva in scena spettacoli di grande livello, primo fra tutti Il Rugantino, con una splendida colonna musicale e una serie di interpreti indimenticabili, come le loro celebri canzoni (“Roma nun fa la stupida stasera” ne è solo un esempio). Teatro “minore” – ma non per questo disprezzabile – quello satirico e un po’ qualunquista del Salone Margherita, il celebre Bagaglino.

Nel giro di un paio di decenni il teatro (sia la prosa sia il varietà) è praticamente morto. Non è andata molto meglio per il cinema italiano, che dai capolavori del neorealismo alla Dolce Vita di Fellini ha riscosso tanti successi nel mondo, schierando grandi registi e grandi attori di cui sarebbe troppo lungo fare una lista esauriente. Ormai, è già una fortuna quando escono poche commedie gradevoli, fra cui ricordo Come un gatto in tangenziale, o qualche film – drammatico fino alla disperazione ma con grande capacità di coinvolgimento – come Non essere cattivo o Dogman.

Perché è successo tutto questo? Solo colpa della televisione, che oggi offre una discreta scelta di programmi (anche culturali, sia pure in netta minoranza)? E perché, invece, le vendite di libri tengono, e addirittura aumentano, sia pure di poco, tenendosi – in termini di entrate globali – al livello dei costosi abbonamenti alle varie Pay-tv? Sarebbe interessante sentire un po’ di pareri (e magari anche di suggerimenti) sulle cause di questa crisi.

P.s. Mi sembra morto – o moribondo – anche l’umorismo popolare. Ricordo tre fra i mille episodi della mia giovinezza. Il primo a Trastevere, subito dopo la morte di J. F. Kennedy a Dallas. Due donne sedute sul portone di casa, come ancora si usava. Passa una ragazza con il pancione e una delle due donne dice all’altra: “Hai visto che succede a Dallas?” Secondo episodio. Sul muraglione della strada che sale a Monte Mario una mattina appare una scritta a caratteri cubitali: “Gronchi onesto. Fanfani alto. Saragat astemio”. Terzo episodio: sul muretto che circondava gli studi televisivi in cui Enrica Bonaccorti girava fiction e altro, una scritta molto vistosa che diceva: “La Bonaccorti fa i pompini a quelli coi cazzi corti”. Oggi solo mura e portoni imbrattati per vandalismo (o per odio verso il mondo ?)

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