Deve restare in carcere Renato Vallanzasca, l’ex boss della Comasina condannato a quattro ergastoli per reati commessi negli anni in cui era un protagonista della scena criminale milanese. La Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato Paolo Antonio Muzzi. Gli ermellini hanno confermato la decisione emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano il 23 giugno 2020, che aveva rigettato la richiesta di libertà condizionale o semilibertà. Vallanzasca, che ha 71 anni e ha trascorso la maggior parte della sua vita in prigione, è tornato in cella a Bollate nel 2014 dopo essere stato arrestato per aver cercato di rubare dei boxer per un totale di 50 euro all’Esselunga di viale Umbria a Milano. Scoperto da un addetto della vigilanza del supermercato Vallanzasca, che era in permesso premio, aveva reagito. La carriera di Vallanzasca è stata rapidissima e romanzesca.

Una “vita assurda” per la quale aveva chiesto perdono con una lettera scritta di suo pugno e indirizzata ai giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano, che nel giugno scorso non avevano voluto concedergli la misura alternativa la carcere. Vallanzasca aveva chiarito che dalla vita di lussi ed eccessi che lo aveva reso celebre ormai aveva preso definitivamente le distanze, sottolineando come adesso per lui sono “altri gli ideali da seguire”. Per i giudici della Cassazione hanno riconfermato la decisione del Tribunale di Milano, sottolineando come i comportamenti di Vallanzasca non siano allo stato “oggettivamente tali da riflettere il definitivo ripudio del passato stile di vita e l’irreversibile accettazione di modelli di condotta normativamente e socialmente conformi”. A pesare anche il fattonon abbia mai incontrato i familiari delle sua vittime ne chiesto loro perdono. Il perché, l’ex bandito lo aveva spiegato nella sua lettera: il suo silenzio era quanto “si deve come il massimo rispetto per le vittime! Non ci sono parole dignitose. Non ci possono essere parole”.

Ad avviso della Cassazione – nonostante il parere favorevole ai benefici espresso dall’equipe di educatori che segue Vallanzasca da quando la semilibertà gli è stata revocata quasi sette anni fa – i comportamenti dell’ex bandito non dimostrano ancora “il definitivo ripudio del passato stile di vita e l’irreversibile accettazione di modelli di condotta normativamente e socialmente conformi”. Per la Suprema Corte, inoltre, come sottolineato dai magistrati di sorveglianza, che hanno negato a Vallanzasca il ritorno al lavoro esterno nella cooperativa per disabili dove già si era impegnato, mancano ancora “atteggiamenti” di “evidente ed effettiva resipiscenza” nei confronti “delle numerosissime vittime degli innumerevoli e gravissimi reati, anche al di là di risarcimenti di tipo economico”, pur possibili “per la percezione di somme per pubblicazioni, diritti di autore, anche per lo sfruttamento cine-televisivo dell’esperienza di vita del condannato”. Il “processo di recupero” di Vallanzasca “non è stato e non è oggi esente da incertezze e profonde contraddizioni, il cui apice è rappresentato dalla non remota recidiva” del giugno 2014 e dai “complessivi comportamenti ‘minimizzanti’ assunti rispetto ai propri anche recenti comportamenti”.

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