Difficile non ripensare al “Sussidistan“, il Paese immaginario evocato lo scorso autunno dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi per sostenere che serviva “una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà” a causa del Covid. Che la ripresa richieda soprattutto una spinta agli investimenti nessuno lo nega, ma intanto i numeri messi nero sul bianco dal governo Draghi nel Documento di economia finanza danno la dimostrazione plastica che proprio le aziende sono state le principali beneficiarie dei corposi aiuti varati nell’anno del lockdown. Aiuti che sono stati “efficaci nello stabilizzare l’economia”, riconosce il nuovo esecutivo. Il capitolo dedicato ai provvedimenti adottati nel 2020 dal Conte 2 non lascia spazio a dubbi su chi abbia ricevuto la fetta più grossa della torta: sui 108 miliardi di indebitamento aggiuntivo contratto dallo Stato per fronteggiare l’emergenza, ben 56 sono andati alle imprese grandi e piccole.

Gli interventi per il lavoro, per fare un confronto, si sono fermati a 29,7 miliardi di cui oltre 18 per la cig, che – va ricordato – rappresenta a sua volta un risparmio per l’azienda. Mentre gli enti territoriali si sono accontentati di 10,8 miliardi e alla sanità ne sono stati destinati 8,2. Ancora più magro, in termini relativi, il bilancio dei capitoli famiglia e politiche sociali, in cui ricade anche il reddito di emergenza (6,1 miliardi) e scuola e ricerca (2 miliardi). E le attività economiche continuano a fare la parte del leone anche nella manovra 2021 (11,8 miliardi su 24) e nella spartizione del primo scostamento di bilancio del 2021: 16,6 miliardi su 32. Il conto finale è destinato comunque a salire ancora: stando alle anticipazioni, più di metà dell’ulteriore scostamento da 40 miliardi appena approvato dal consiglio dei ministri andrà a finanziare un nuovo provvedimento ad hoc per le imprese.

Ma che cosa c’è dentro quei 56 miliardi? La voce principale è costituita dal rinvio di adempimenti fiscali e contributivi, inevitabilmente prorogato più volte perché non si poteva battere cassa nell’anno in cui il pil è crollato come mai era successo nella storia: vale 15,3 miliardi, a cui ne vanno aggiunti altri 4 persi dallo Stato per effetto della cancellazione del saldo Irap e del primo acconto. Subito dietro ci sono i ristori: 10,7 miliardi complessivi andati ad aiutare le attività danneggiate dalle restrizioni anti contagio, a patto che rientrassero nella lista dei 130 codici Ateco individuati dal governo. Molto ampio il capitolo delle misure per l’accesso al credito: 6 miliardi di garanzie per le pmi e le aziende agricole e 1,4 miliardi per la moratoria sui rimborsi di prestiti. Ben 2,7 miliardi sono andati poi al settore turistico e alle attività culturali affossati dal Covid, sotto forma di fondi e agevolazioni fiscali, e altri 2,5 ai crediti di imposta per le sanificazioni e gli affitti dei negozi. E ancora: 1,9 miliardi hanno finanziato la sospensione del pagamento dei contributi , 817 milioni sono stati spesi per il bonus vacanze, mirato ad aiutare hotel, villaggi e b&b, e 770 per la promozione del made in Italy e il sostegno all’export.

I 29,7 miliardi dedicati al lavoro sono andati invece in gran parte – 18,5 miliardi – alla cassa integrazione con causale Covid e ai trattamenti di disoccupazione, seguiti dalle indennità una tantum (bonus 600 euro e 1000 euro) per i lavoratori autonomi, gli stagionali del turismo e dello spettacolo, i professionisti con partita Iva. Altri 1,8 miliardi sono stati dedicati all’esonero dai contributi previdenziali in alcuni settori e, da ottobre, nelle Regioni del Sud.

Le altre voci di destinazione del maxi deficit aggiuntivo riguardano come detto la sanità, con 3,4 miliardi per acquisti straordinari di farmaci e dispositivi sanitari e 2,9 miliardi per il rafforzamento di ospedali e sanità territoriale, le famiglie con 3 miliardi per congedi parentali, voucher baby sitter e tutela dei lavoratori in quarantena, 980 milioni per il reddito di emergenza e 850 per i buoni alimentari, e la scuola con 1,1 miliardi per adeguare le strutture all’emergenza sanitaria.

A conti fatti, il debito extra che dovremo ripagare negli anni a venire è andato in gran parte a sostenere le attività produttive. Si vedrà in quale misura è davvero, per citare Draghi, “debito buono” necessario per limitare i fallimenti delle imprese sane e tutelare i posti di lavoro, e in che parte invece è andato a vantaggio di chi sarebbe stato in grado di stare in piedi con le proprie gambe.

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