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Debito pubblico, con la ripresa dell’inflazione globale potrebbe diventare ingestibile

Debito pubblico, con la ripresa dell’inflazione globale potrebbe diventare ingestibile
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Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato nella conferenza stampa del 25 marzo che “questo non è il momento di preoccuparsi per il debito pubblico”. Per alcuni aspetti questa affermazione è più che giusta: l’aumento della spesa pubblica è infatti indispensabile per contrastare l’emergenza sanitaria; e senza fare nuovo debito la povertà, i fallimenti e la disoccupazione dilagherebbero senza limiti.

Ma per molti altri aspetti l’affermazione di Draghi è invece pericolosa e sbagliata: ormai il debito pubblico italiano in euro è arrivato al 160% del Pil ed è molto probabile che senza una svolta decisa di 180 gradi diventi ingestibile. In Italia si sta diffondendo l’idea illusoria e dannosa che il debito pubblico conti poco perché “tanto la Bce e l’Europa ci proteggeranno” e perché grazie al Next Generation EU da 750 miliardi di euro l’economia europea e italiana riprenderà a correre.

E’ un grave errore. Prima o poi i mercati faranno pagare all’Italia il conto del debito. Nell’Unione Europea ci sono concorrenti che attendono il nostro fallimento per commissariarci come è accaduto in Grecia. Non a caso l’establishment europeo è contro la cancellazione dei debiti in pancia alla Bce chiesta dal Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli e respinta dalla presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde. Il rifiuto della Ue e della Bce è puramente politico. La Bce e l’Eurosistema hanno in bilancio circa un quinto dei debiti di stato dell’eurozona – cioè per l’Italia circa 550 miliardi su 2600 di debito pubblico.

Se questi debiti (che peraltro la Bce continua a rifinanziare per non fare fallire subito l’eurozona) venissero definitivamente cancellati – come chiedono 150 autorevolissimi economisti europei, tra i quali Thomas Piketty e Gaël Giraud, e in Italia Leonardo Becchetti e Riccardo Realfonzo – gli investitori finanziari sarebbero rassicurati sulla sostenibilità dei bilanci dell’eurozona e richiederebbero meno tassi di interesse da pagare. Se invece non verranno rimossi l’Italia rischia di affogare nei debiti.

E’ bene essere chiari: siamo Bce-dipendenti. Senza la Bce il nostro Paese fallirebbe subito. Contro la crisi la Bce sta attuando una manovra monetaria espansiva per trilioni di euro e sta prestando soldi alle banche con tassi di interesse pari a zero o addirittura negativi. Le banche acquistano titoli di stato che rivendono alla Bce: così i prezzi dei debiti di stato sono per ora calmierati.

Il problema è che lo stato italiano non controlla né la Bce né l’euro. Per l’Italia l’euro è una moneta straniera come il dollaro per l’Argentina. A differenza per esempio del Giappone, che, pur avendo un debito del 250% sul Pil può sempre battere moneta e restituire i suoi debiti, e non dipende interamente dai mercati, l’Italia invece dipende dalla Bce, e soprattutto dai mercati e dall’alta finanza (che si nutre di debiti pubblici), per ottenere moneta. Siamo quindi un Paese strutturalmente a sovranità limitata.

Il pericolo imminente è però costituito dalla possibile ripresa dell’inflazione globale e dal conseguente eventuale aumento dei tassi di interesse della Bce. Dall’inizio dell’anno l’inflazione sta ripartendo a causa di due fattori: l’accelerazione dell’economia cinese (stima: +8%) e negli Usa lo stimolo grandioso da 1,9 trilioni di dollari voluto dal nuovo Presidente Joe Biden che aumenterà l’inflazione americana di oltre il 2% e farà ripartire l’economia Usa (stima +6%).

L’Europa è rimasta molto indietro a Cina e Usa per l’inettitudine della Commissione Ue verso Big Pharma, la mancanza di vaccini e i perduranti lockdown che frenano l’attività produttiva e i consumi. Nell’eurozona l’inflazione verrebbe importata dall’estero e provocherebbe l’aumento dei tassi da parte della Bce, e perciò dei debiti da pagare. Quindi il debito conta, anche se Draghi minimizza.

L’Europa non ci può salvare neppure con il Next Generation EU: il salvagente europeo, pur prevedendo per l’Italia oltre 209 miliardi da investire nei prossimi anni, appare sempre di più floscio e insufficiente. Una recente e accurata ricerca pubblicata su Economia e Politica indica infatti che il NGEU non basterà a ridurre il rapporto debito/Pil e a portare l’Italia fuori dalla crisi. Anche nello scenario migliore, anche se già nel 2022 riuscissimo a raggiungere il livello di Pil di prima della crisi, il nostro debito sarà certamente molto più elevato del precedente, intorno al 160% e forse oltre. Il debito pubblico italiano non sarebbe più sostenibile se la Bce dovesse aumentare i tassi di interesse per frenare l’inflazione.

Per uscire dalla crisi tremenda in cui siamo ci sono solo due strade: la cancellazione del debito nell’eurozona; o l’emissione da parte del governo italiano di Titoli di Sconto Fiscale convertibili in euro e la loro distribuzione gratuita presso le famiglie, le imprese, e gli enti pubblici. Con i Tsf recupereremmo di fatto sovranità senza chiedere nulla ai mercati e senza fare nuovo deficit. Ma il governo Draghi non si muove in questo senso.

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