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Mario, storia di una foto e di un naufragio

Mario, storia di una foto e di un naufragio
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8 aprile 2020, Ospedale Maggiore di Parma, reparto Covid. La foto è di Domenico Stinellis. L’uomo steso sul letto lo conosco. Ha un garage dove non parcheggia la macchina.

Si può naufragare in balia della corrente per giorni, perdere i sensi e ritrovarsi ancora in mezzo a un oceano. E si può restare immobili, circondati dalle spondine del letto, in attesa di toccare il pavimento, tornare a casa, finalmente.

È Mario, 82 anni, se gli serve un bullone un po’ speciale non va dal ferramenta sottocasa, perché il bullone giusto lo trova dal Bìlo, a 40 km chilometri da casa. Prova a dissuaderlo se sei capace. Ha un gatto che chiama “Gattone” o “Gatusso”, non sai cosa si dicono, si capiscono, punto. Se è stagione ti offre una spremuta buona. Rito antico, le cose fatte bene hanno un tempo. Nella foto riconosco Mario a stento dai capelli e la punta del naso. È in mare aperto e travolge lui e chi aspetta a casa: una telefonata, una buona notizia, il ritorno da un naufragio.

Mario non ha un garage, ha un “hangarage”: la macchina fuori, serve spazio al biplano che sta costruendo, pezzo dopo pezzo, da anni, senza fretta, la destinazione è staccarsi da terra, non atterrare. E un bullone che vola: non lo trovi facile dal ferramenta. Odore di legno lavorato, trucioli, ingranaggi a leva che mi fa vedere con fierezza. Le ali saranno montate poi, ora è solo carlinga, ma l’elica splende.

Mario è immerso nelle lenzuola, poche onde distinguono il suo corpo sotto la superficie del cotone, isolato da un casco e ventole senza tregua. Gli porgono un taccuino su cui annotare quello che non riesce a dire, leggere quello che non può sentire. Regge una matita, ma il peso sembra trascinarlo sotto.

Nell’hangarage erano spuntate le ali. C’era ancora molto da fare… ma che fretta c’è quando la destinazione è decollare? Quando sei Mario puoi volare anche prima, basta costruire un’idea. Brinderemo a spremute, il gatto farà un discorso, ci sarà il sole.

Sembra una foto come tante, ma quando riconosci un dettaglio, che ti permette di ridare identità alla persona, ecco che anche sotto gli scafandri siamo tutti donne e uomini, non soldati in guerra, anche se la metafora aiuta a dare una forma alla tempesta. Si può restare in balia del mare e sperare. Si può essere migranti del tempo, lo siamo tutti.

C’è un mare di spazio anche fra le nuvole e, con un biplano che non vede l’ora di navigare il cielo, si può andare in quota, così in alto che vedere questa foto sarà un puntino e non sembrerà mai più che ha vinto il mare. O il male.

Due nipoti forse finiranno il lavoro iniziato dal nonno e si daranno il cambio alla cloche: all’andata guido io, al ritorno tocca a te. Ora voliamo.

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