Nemmeno l’isolata e glaciale Groenlandia è al riparo dalle crisi politiche. La nazione nel mare Artico (che ufficialmente fa parte del Regno di Danimarca) è al centro di una lotta fra partiti causata da una disputa riguardante lo sfruttamento delle risorse naturali locali. Il Parlamento della Groenlandia, che rappresenta i suoi 56mila abitanti, ha stabilito che ci saranno delle elezioni speciali il prossimo 6 aprile dopo che Siumut, il partito al governo, ha perso la fiducia. È venuto meno il sostegno da parte dei Democratici, che si sono opposti all’apertura della miniera di Kvanefjeld, situata a sud della capitale Nuuk davanti le coste canadesi. La cava è una delle maggiori risorse mondiali di uranio e terre rare, due elementi chimici utilizzati per numerose applicazioni tecnologiche civili e militari. Le preoccupazioni per un eccessivo sfruttamento della miniera, e per le conseguenze ambientali che tale utilizzo potrebbe causare, hanno fatto sì che il partito democratico locale votasse contro la fiducia al governo.

A promuovere la campagna contro lo sfruttamento della miniera (nota anche come Kuannersuit) c’è il partito Inuit Ataqatigiit, che rappresenta la popolazione Inuit della Groenlandia e ha sostenuto i Democratici. I nativi (il termine “eschimese” è oggi considerato inappropriato perchè creato da forestieri e quindi non viene più utilizzato) sono circa 50mila nella nazione e si sono schierati in massa contro l’apertura della miniera. Inoltre, un movimento dal basso noto come Urani Naamik (“no all’uranio”) ha preso piede fra i cittadini che hanno manifestato negli ultimi giorni davanti al parlamento locale e nei pressi della cava.

Nel 2013 fu proprio il partito Siumut a varare una legge che permetteva l’estrazione di uranio sull’isola, un procedimento rischioso che può causare danni all’ambiente per via dei rifiuti radioattivi. A preoccupare gli Inuit non sono solo i rischi per la natura: il fatto che dietro gli scavi ci siano imprenditori stranieri non è visto di buon occhio dalla popolazione locale. L’appalto per l’analisi iniziale della miniera è stato affidato alla ditta australiana Australian Greenland Minerals, mentre fra i proprietari della cava c’è la società cinese Shenghe Resource.

“Le organizzazioni ambientaliste sono critiche nei confronti dei progetti minerari, petroliferi e di gas naturale in Groenlandia. Credono che la Danimarca e l’Ue debbano invece sostenere finanziariamente l’isola, in modo che il paese possa avere un’economia basata sul turismo e sulle risorse sostenibili”, spiega il magazine locale Knr che si è occupato delle proteste. La nazione fa affidamento su sussidi danesi per circa 526 milioni di euro all’anno, ovvero un terzo del suo bilancio totale. Molti cittadini vorrebbero una maggiore indipendenza e sperano un giorno di tagliare i legami con la Danimarca: ad oggi Copenaghen gestisce la politica estera, monetaria e di difesa della Groenlandia.

Dopo la crisi parlamentare, il primo ministro Kim Kielsen di Siumut ha indetto le elezioni per il 6 aprile prossimo, alle quali il partito degli Inuit viene dato come favorito. Ciò potrebbe significare uno stop definitivo allo sfruttamento di Kvanefjeld nonché una maggiore rappresentanza dei nativi in parlamento. Un passo importante per la protezione e lo sviluppo dell’isola più grande al mondo.

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