di Monica Valendino

Il governo più “dragqueen” della storia occidentale (nel senso di colori messi assieme) nasce nel nome più beatificato di tutti i tempi, senza che il diretto interessato abbia mai detto un cappero sul programma, che non siano linee guida talmente generiche che basta una buona preparazione di ragioneria per capirle. Tra l’altro tali idee sono più che altro trapelate, perché Mario Draghi sa essere più silenzioso di Marcel Marceau. Ma la sua forza è anche un indiscusso carisma, attribuitogli anche senza conoscere a fondo i suoi pensieri. Caratteristica che è riuscita nell’intento di abbindolare per bene anche i Cinque Stelle che escono frantumati e senza nulla in mano da una trattativa dove il banchiere più amato dai banchieri e dalle lobby (che tramano da mesi per come evitare che gli oltre 200 miliardi di fondi finiscano in mani diverse dalle loro), hanno avuto la meglio.

Beppe Grillo, silente da tempo, è tornato prepotentemente sulla scena facendo credere che un super ministero dell’ambiente potesse essere una gran vittoria del Movimento. Nulla di più falso: perché in una maggioranza Arlecchino questo ministero (che non ha visto nemmeno accorpare il MISE) dovrà trattare con personaggi del calibro di Brunetta, Carfagna e Giorgetti che per storia hanno sempre privilegiato il cemento e i suoi derivati a una politica economica circolare, sostenibile e dove si inizia a parlare di decrescita piuttosto che che di Pil come unica forma di misura della ricchezza.

L’eterogeneità dell’esecutivo sarà inevitabilmente un ostacolo insormontabile e attenzione anche a esultare per la conferma di alcuni ministri come la Lamorgese agli Interni, perché saranno i sottosegretari a essere determinanti e qui la Lega potrebbe già pregustare un ostruzionismo alla buona politica sugli emigranti fin qui messa in campo. La neoministra Marta Cartabia alla Giustizia è una di quelli “da sistema”, buona per qualche riforma sulla velocità dei processi (forse), ma di certo non rivoluzionaria su corruzione e prescrizione, i due temi che hanno messo i brividi ai più, quelli che non vedevano l’ora che Bonafede facesse le valigie.

Un governo paradossalmente nato però proprio grazie ai pentastellati che tramite la piattaforma Rousseau (colui che aveva combattuto l’aristocrazia), di fatto hanno dato pieni poteri al presidente del Consiglio (ma Renzi non accusava Conte proprio di questo?), dando il la all’esecutivo che B. ha definito dei migliori, ovvero proprio dell’aristocrazia.

La strategia è incomprensibile. Fare opposizione non significa non poter controllare quello che avviene, anzi offre la possibilità di denunciarlo senza compromessi. Fare opposizione a coloro che per anni sono stati considerati il male del Paese non era solo logico, ma anche strategico visto che in caso di un No a Draghi certamente Leu avrebbe seguito la strada, costringendo il Pd a una scelta di campo anche per il futuro in una alleanza che avrebbe potuto dare filo da torcere a quella di destra. Un No avrebbe dato inoltre le responsabilità della crisi a Salvini e compagnia, che così avrebbero mostrato tutti i loro limiti e il loro modo di fare propaganda più che politica.

Un prezzo da pagare certamente caro in piena pandemia, ma ora ci si aspetta davvero di trovare una sintesi tra chi vuole salvaguardare da sempre gli imprenditori e chi i cittadini e le fasce deboli? Draghi, che da tempo teorizza che gli interventi di Stato debbano essere minimi e che i fallimenti delle aziende zoppe non siano un male, ora davvero ci si aspetta che elargirà tutti quei ristori che servono a sopravvivere proprio a chi traballa?

Che il reddito di cittadinanza non venga toccato è poi una cartina tornasole, perché di fatto nessuno lo toccherà comunque quest’anno visto che sarebbe impopolare e visto soprattutto che è già a bilancio. Insomma un fallimento politico che ha creato al governo dal consenso bulgaro e che consegna il Paese ai soliti partigiani delle confederazioni.

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