Come si sa l’uomo è piuttosto parco di dichiarazioni. Così, per capire gli interventi sul fisco che il presidente del Consiglio incaricato ha in mente bisogna aggrapparsi ad una sola parola: “progressivo”. E’ comunque già qualcosa ed è il poco che trapela dagli incontri avuti oggi. Draghi ha detto inoltre che non considera l’ipotesi di una flat tax (ossia un prelievo con una aliquota una indipendentemente dal reddito, l’esatto contrario di un fisco progressivo), che non hai in mente di aumentare le tasse e che insisterà sulla lotta all’evasione. Il programma dettagliato, ha spiegato l’ex banchiere centrale, sarà illustrato in Parlamento.

In realtà è abbastanza intuibile a cosa si riferisca Mario Draghi. Oggi l’Irpef, la tassa sui redditi delle persone fisiche, è strutturata in cinque scaglioni e altrettante aliquote. Il prelievo va dal 23% ad un massimo del 43% (per la parte di reddito che eccede i 75mila euro). Nel mezzo di quella che dovrebbe essere una salita graduale c’è però un salto di ben 11 punti percentuali. Fino a 28mila euro si paga infatti il 27%, a partire dai 28.001 euro il 38%. Questo balzo ha il duplice effetto negativo di scoraggiare chi vorrebbe lavorare di più (in quanto dovrebbe destinare al fisco oltre un terzo dei guadagni aggiuntivi) e di invogliare al “nero”. La situazione viene complicata ulteriormente dal meccanismo del bonus da introdotto dal governo Renzi che, non essendo tecnicamente una detrazione, finisce per far scattare prelievi estremamente alti (fino all’80%) sugli introiti aggiuntivi.

“Sarebbe bene rimpiazzare il famoso bonus prima di 80 e poi di 100 euro con un beneficio all’incirca equivalente, attraverso un’appropriata modifica delle aliquote effettive sui redditi da lavoro dipendente”, ha affermato ieri Carlo Cottarelli al termine dell’audizione in commissione finanze. “Tra l’altro – ha spiegato – questo permetterebbe all’Istat di considerare questi 100 euro, che sono di fatto una detassazione, come una detassazione anche dal punto di vista statistico e non come una spesa, cosa che attualmente è inevitabile, viste le convenzioni statistiche europee”. Insomma il bonus 100 euro “fa attualmente apparire la pressione fiscale sul nostro paese più alta di quella che è”.

Un gradino in più tra i 28 e i 55 mila euro – Una delle ipotesi per porre rimedio a questa stato di cose, è molto semplicemente, quello di introdurre un sesto scaglione e “spezzare” lo scalone e sostituirlo con due scalini: aliquota del 32% da 28 a 40 mila e del 38% da 40 a 55mila. In passato del resto il prelievo Irpef era molto più progressivo, nel 1974 si contavano ben 32 scaglioni con aliquote che andavano dal 10% al 72%. Come si intuisce facilmente l’effetto complessivo della “compressione” è stato soprattutto quello di ridurre il prelievo sui redditi più elevati. Un altra giungla a cui si potrebbe mettere mano è quella dei regimi fiscali agevolati. Oggi sono in tutto ben 513 con un costo di oltre 100 miliardi l’anno.

Dell’opportunità di una revisione del sistema aveva parlato anche Banca d’Italia spiegando che la base imponibile dell’Irpef negli ultimi anni subito “un fenomeno di erosione” a causa dell’introduzione di tassazioni separate di alcuni cespiti, della proliferazione delle cosiddette spese fiscali (tax expenditures) sotto forma di esenzioni, deduzioni e detrazioni , e dell’obsolescenza dei valori tassati, “come nel caso del mancato aggiornamento dei valori catastali“, annota Bankitalia. Criticità che si aggiungono al buco nero dell’evasione fiscale, che supera i 100 miliardi di euro l’anno di cui 38 di Irpef. Il risultato, ha spiegato Ruffini, è che l’attuale sistema “disincentiva l’offerta di lavoro da parte dei contribuenti” a causa di diversi fattori tra cui “aliquote marginali elevate sui redditi bassi” o ”detrazioni decrescenti al crescere del reddito”.

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