Hanno fatto discutere molto le parole pronunciate da Akio Toyoda in merito ai rischi legati alla transizione alla mobilità elettrica: per il manager giapponese, se questo avvicendamento tecnologico fosse troppo repentino, ne deriverebbero addirittura dei danni ambientali. Argomentazioni a cui hanno fatto eco quelle di Franz Fehrenbach, Presidente del Consiglio di Sorveglianza della Bosch. Sulla scia di quanto asserito da Toyoda e sulla base dei dati disponibili, quindi, abbiamo provato a fare una serie di considerazioni al fine di comprendere se i ragionamenti dell’industriale giapponese e del suo collega tedesco abbiano un fondamento o meno.

a) In Europa l’elettricità è relativamente pulita. Nel resto del mondo no.

A detta di Climate Transparency, al 2020 produrre 1 kWh di elettricità in Europa equivale all’emissione nell’atmosfera di 238 grammi di anidride carbonica, derivante perlopiù dall’utilizzo di fonti non rinnovabili, prevalentemente composte da combustibili fossili. Nelle fonti non rinnovabili rientra anche l’energia nucleare che, però, non genera CO2.

Secondo i piani europei, per il 2050 l’obiettivo è di produrre 1 kWh di elettricità con un’impronta di carbonio pari a zero: merito soprattutto del crescente impiego di fonti rinnovabili, che passerebbero a coprire dal 32% a oltre l’80% del totale dell’intera produzione. Calcolatrice alla mano, significa che le emissioni di CO2 per produrre 1 kWh dovrebbero abbassarsi mediamente di circa 8 grammi all’anno per il prossimo trentennio (ciò vorrebbe dire, approssimativamente, raggiungere 198 grammi di CO2 al kWh nel 2025, 158 nel 2030, 118 nel 2035, 78 grammi nel 2040, 38 grammi nel 2045 e 0 nel 2050).

Alcuni costruttori affermano che la loro produzione di batterie, il componente dell’auto elettrica più critico a livello ambientale rispetto a un’auto tradizionale, sia già “carbon neutral”: ciò è tutto da dimostrare, considerato che persino i fabbricanti di auto che hanno tappezzato le loro fabbriche di pannelli solari riescono a produrre solo una quota minore di elettricità con la tecnologia fotovoltaica (quando c’è il sole, ovviamente), derivando il resto dalle reti pubbliche. Quest’ultime rimangono indispensabili per la produzione di massa.

Ne consegue che l’impatto ambientale della produzione di batterie è strettamente legato all’ecocompatibilità delle reti statali, al loro mix energetico rinnovabile/non rinnovabile e, in ultima analisi, al rapporto fra grammi di CO2 emessi per kWh prodotto (gCO2/kWh). Quest’ultimo parametro è più critico negli Usa dove, al 2020, 1 kWh vale circa 383 grammi di CO2, e pessimo in Cina, dove 1 kWh equivale ad almeno 556 grammi di CO2. In Sud Corea non va poi molto meglio: 1 kWh genera 476 grammi di anidride carbonica,più o meno come in Giappone, a quota 470.

b) Dove viene fabbricata la maggior parte delle batterie?

Ad oggi la maggior parte delle batterie arriva dall’Asia, dove hanno sede colossi come la cinese Catl o la coreana LG Chem, che sono fra i principali fornitori delle multinazionali dell’auto (eccezion fatta per Tesla, che produce batterie per i suoi modelli, in stabilimenti collocati in America, Cina e, prossimamente, in Germania) e che hanno già in essere contratti di fornitura per gli anni a venire. Vale la pena tener presente che Cina, USA, Giappone e Corea del Sud hanno un mix energetico decisamente meno sostenibile di quello europeo: ciò incide direttamente sull’impatto ambientale, in termini di produzione di CO2, generato dalla fabbricazione di una batteria in quei Paesi.

Esistono dei programmi europei per la produzione di massa di batterie anche in Europa (e la Tesla sta costruendo una Giga Factory nei sobborghi di Berlino, che potrebbe essere attiva fra pochi mesi): tuttavia, la loro finalizzazione è ancora in corso d’opera – l’aspettativa, molto ottimistica a dire il vero, è che le batterie “made in Europe” possano coprire il 30% della domanda globale entro il 2030 – e l’impatto che avrà sul business mondiale dei battery-pack dipenderà dalla competitività economica del prodotto. Il ritardo tecnico accumulato nei confronti delle realtà asiatiche non aiuta in questo senso.

Fermo restando che, a regime, la produzione europea di batterie, quella teoricamente più virtuosa a livello ambientale (proprio perché basata su un mix energetico improntato alle rinnovabili), difficilmente potrebbe finire al di fuori del continente: appare molto improbabile, infatti, che in Asia, dove sono già lanciati sulla fabbricazione di batterie, si possa far spazio a quelle europee. A oggi l’Europa vale l’1% della produzione totale, contro il 60% della Cina, il 17% del Giappone e il 15% della Corea del Sud.

c) Quanta CO2 viene emessa quando si costruisce una batteria?

Sappiamo, da fonti ufficiali Volvo, che produrre un pacco batteria da 78 kWh comporta l’emissione nell’ambiente di circa 7 tonnellate di CO2. E sappiamo che esiste una proporzionalità quasi diretta fra la capacità di una batteria (quanti kWh può accumulare) e la sua impronta di carbonio. È quindi ragionevole prendere a riferimento questi valori per ricavare l’impronta di carbonio generata da batterie prodotte in Cina, dove vengono fabbricate quelle della Volvo adoperate sul modello Polestar 2. Abbiamo quindi stimato l’impatto ambientale in termini di CO2 che comporta la produzione cinese della batteria di un modello 100% elettrico di taglia compatta e larga diffusione: il suo accumulatore da 58 kWh “vale” approssimativamente 5,2 tonnellate di anidride carbonica (giova ricordare che 1 kWh di elettricità nella Repubblica Popolare produce non meno che 556 grammi di CO2).

Escluse le batterie, la produzione di un veicolo elettrico ha un “peso ambientale” simile alla realizzazione di un veicolo termico o ibrido. Perché fabbricare un powertrain termico o ibrido non genera un’impronta di carbonio paragonabile a quella derivante dalla produzione della batteria di un veicolo elettrico. Ne consegue che l’auto elettrica comincia a far bene all’ecosistema solo quando viene compensata la maggiore impronta di carbonio generata dalla produzione della sua batteria. Produrre una batteria di medesima capacità in Europa, su carta (attualmente questa produzione è inesistente), sarebbe virtualmente più sostenibile: 2,2 tonnellate di CO2 (1 kWh vale 238 grammi di CO2), mentre in America il computo salirebbe a 3,6 (dove 1 kWh provoca la produzione nell’ambiente 383 grammi di CO2) e in Giappone e Sud Corea attorno a 4,4 tonnellate (1 kWh vale circa 470/476 grammi). In definitiva, la produzione di una batteria è tanto più inquinante quanto è più “sporca” l’energia del Paese in cui viene fabbricata.

d) Quanta CO2 viene emessa durante l’utilizzo di un’auto elettrica di dimensioni compatte?

E’ importante sottolineare che, pur essendo ad emissioni zero allo scarico, durante il suo utilizzo l’auto elettrica è responsabile dell’emissione nell’ambiente di una quantità di CO2 che è uguale a quella generata durante la produzione dell’energia elettrica che serve per rifornire la batteria. A favore dell’auto elettrica c’è che il rendimento del powertrain elettrico – cioè il rapporto, sempre inferiore a 1, fra l’energia ottenuta in forma utile e quella spesa – è già estremamente elevato: significa che la quasi totalità dell’energia elettrica fornita all’auto viene trasformata in moto. Mentre, nella migliore delle ipotesi, i motori termici hanno un rendimento del 40%: vuol dire che la maggior parte dell’energia conservata nel carburante viene dispersa sotto forma di calore e non trasformata in moto.

A sfavore dell’auto a batteria, in termini ambientali, è l’impronta di carbonio generata dalla produzione elettrica stessa, il cui mix delle fonti differisce da paese a paese. Ciò, considerando che il nostro modello di auto elettrica di riferimento ha un consumo omologato Wltp (Worldwide harmonized Light-Duty vehicles Test Procedure) di 6,3 km/kWh, comporta che per ogni chilometro percorso, viene virtualmente immesso nell’ambiente un quantitativo di CO2 pari a:

– Europa = 38 g/km

– Usa = 61 g/km

– Giappone e Sud Corea = 75 g/km

– Cina = 88 g/km

Quindi, similmente a quanto succede per la fabbricazione della batteria, caricare quella di un veicolo elettrico è tanto più impattante (in termini di CO2 emessa nell’aria) quanto è più “sporca” l’energia prodotta nell’area geografica presa a riferimento.

e) Cosa succede se rifornisco la batteria in Europa?

Per capire se Akio Toyoda abbia ragione circa le tesi che sostiene, abbiamo preso a riferimento proprio un modello ibrido costruito dalla Toyota, la Corolla Hybrid da 184 Cv di potenza che, secondo i dati di omologazione Wltp, emette 106 grammi di CO2 per ogni chilometro di strada percorso. Ne esiste anche una versione da 122 cavalli, omologata per 97 grammi di CO2 al chilometro, ma abbiamo scelto quella più potente perché di prestazioni paragonabili a quelle della nostra compatta elettrica di riferimento, dotata di batteria da 58 kWh e di motore da 204 Cv di potenza di picco.

Entrambe le vetture sono costruite in Europa, tranne che per le batterie, provenienti dall’Asia: quella dell’ibrida, però, è da appena 1,4 kWh, cioè di capacità 41 volte più contenuta rispetto alla batteria dell’auto 100% elettrica. La differenza di emissioni di CO2 prodotte durante il loro utilizzo (106-38), prendendo a riferimento la produzione elettrica europea (la più pulita al mondo) è di circa 68 grammi al chilometro in favore dell’elettrica (significa che, emettendo 38 grammi di CO2 per ogni chilometro percorso, l’auto elettrica risparmia all’ambiente 68 grammi di CO2 rispetto all’ibrida) che, però, deve recuperare le 5,2 tonnellate derivanti dalla produzione della sua batteria prima di avere un reale beneficio ambientale.

Quindi, il rapporto fra le 5,2 tonnellate generate dalla produzione della batteria cinese e i 68 grammi di cui sopra, dà un risultato di circa 76.000: tanti sono i chilometri che devono essere percorsi col modello elettrico rispetto all’ibrido prima che la vettura 100% elettrica cominci ad avere un reale beneficio ambientale rispetto all’ibrida Toyota (la percorrenza media dell’automobilista europeo è di 12 mila km l’anno).

Inoltre, è necessario tenere conto di un altro fattore fondamentale: eccezion fatta per quella relativa alla sua fabbricazione (che è pressappoco la medesima del modello elettrico, batterie escluse), la CO2 del modello ibrido viene emessa gradualmente nell’atmosfera durante il suo utilizzo, chilometro dopo chilometro, mentre quella generata dalla produzione della batteria del modello elettrico, pari a diverse tonnellate, viene riversata nell’ambiente tutta in un solo colpo al momento della fabbricazione. Il che rende meno “digeribile” per l’atmosfera assorbimento e riconversione in altri gas non a effetto serra.

f) Cosa succede se rifornisco la batteria in Usa o Cina?

Vale la pena sottolineare che i calcoli sopra riportati hanno senso esclusivamente in Europa, regione parecchio eco-friendly quando si parla di produzione energetica: nei Paesi dove la mix di fonti utilizzate è meno favorevole per l’ambiente (cioè dove si usano più fossili e meno rinnovabili), l’impatto ambientale dell’auto elettrica sale esponenzialmente e la sopracitata soglia di pareggio chilometrico – ovvero il chilometraggio da cui l’auto elettrica comincia a garantire reali benefici ambientali rispetto all’ibrida presa in esame – possono diventare irraggiungibili nell’arco della vita utile del veicolo.

Ad esempio, negli Usa il pareggio dell’elettrica con batteria cinese sull’ibrida Toyota si raggiunge a 115 mila chilometri (la percorrenza media annuale dell’automobilista americano è di 21.600 km), in Giappone e Corea del Sud a 168 mila chilometri e in Cina si sale addirittura ai 289 mila chilometri (la percorrenza media annuale automobilista cinese è di 20 mila chilometri): significa che in due dei più importanti mercati continentali del mondo, attualmente, non solo l’automobile elettrica con batteria cinese non produce benefici ambientali in termini di riduzione della CO2 – è il caso degli USA – ma, anzi, risulta altamente nociva per il controllo climatico, specie nell’area asiatica.

g) E se la batteria fosse coreana o giapponese?

Se la batteria del suddetto modello elettrico fosse coreana o giapponese (Paesi dove 1 kWh = 470/476 grammi di CO2), invece, in virtù del mix energetico leggermente più favorevole rispetto a quello cinese – che farebbe ridurre il “peso climatico” della batteria a 4,4 tonnellate di CO2 anziché 5,2 –, allora le sopracitate soglie chilometriche di pareggio sull’ibrido scenderebbero a 65 mila chilometri in Europa, 98 mila km negli Usa, 142 mila sul mercato coreano e giapponese e 244 mila km in Cina.

Andrebbe meglio se la batteria fosse di fattura americana (ma appare altamente improbabile che un accumulatore ‘made in Usa’ possa finire sui mercati asiatici): le soglie chilometriche di pareggio sull’ibrido scenderebbero a 80 mila km negli Usa e 200 mila km in Cina. Percorrenze che, anche se lievemente più contenute, rimangono troppo alte affinché l’auto elettrica, nel corso della sua vita operativa, abbia reali benefici ambientali rispetto all’ibrida.

Appare abbastanza comprensibile, quindi, che il nodo dell’auto elettrica graviti attorno alle modalità di produzione energetica: in altri termini, l’auto a batteria ha un reale senso ambientale solamente se gli accumulatori sono prodotti e riforniti con energia a basso impatto di CO2, ovvero derivata per gran parte da fonti rinnovabili. Cosa che, però, non è attualmente vera in Asia (e nemmeno negli Usa), da dove arriva la maggior parte delle batterie delle auto elettriche oggi in circolazione.

Motivo per cui, con l’auto elettrica che abbiamo preso in esame, destinata a essere un modello di grande diffusione, si devono percorrere mediamente ben 166 mila km prima che si abbiano dei vantaggi climatici rispetto all’auto ibrida Toyota (nel blocco occidentale, però, il chilometraggio di pareggio arriva a 82 mila chilometri). Il calcolo tiene presente, oltre ai parametri sopra riportati, la grandezza dei mercati di riferimento: abbiamo un blocco occidentale, composto da UE e USA (abbastanza vicini per grandezza), che vale circa 32 milioni di auto (pre-Covid); e un blocco asiatico (Cina+ Corea del Sud+ Giappone), che vale circa 31 milioni, col mercato cinese (oltre 25 milioni) che è grande quasi quattro volte quello coreano e quello giapponese messi insieme. Ma anche la nazionalità della batteria che virtualmente potrebbe finire sullo specifico mercato/area geografica (ad esempio in America le batterie “made in Usa” sono state conteggiate due volte rispetto a quelle cinesi e giapponesi). Si tratta di una stima ottimistica, comunque, perché la media non è ponderata sul peso dell’attuale produzione mondiale di batterie, che vedrebbe la Cina, da sola, pesare per il 60% della produzione mondiale, col resto spartito fra Giappone e Corea del Sud.

Gli elevati chilometraggi di pareggio rendono, mediamente a livello mondiale, l’auto elettrica responsabile di maggiori emissioni di CO2 rispetto all’auto ibrida e, addirittura, rispetto all’auto termica di analoga potenza e categoria, benzina o diesel che sia. E, vale la pena ricordarlo, l’impronta di carbonio della sua batteria viene generata e dispersa nell’ambiente tutta insieme, prima ancora che l’auto venga consegnata al cliente.

h) Soffro di “range anxiety”, ho bisogno di sapere che la mia auto elettrica ha un’autonomia elevata

Si tratta di una preoccupazione più che lecita perché, come noto, l’autonomia non è fra i punti di forza delle auto elettriche (specie con i climi più freddi, quando la stessa può ridursi anche del 20/30%), almeno per il momento. Tuttavia, la nostra elettrica di riferimento è offerta anche con una batteria più grande, da 77 kWh di capacità. Ma cosa succede se si opta per quest’ultima? Succede che, per quanto spiegato al punto c), una batteria più grande genera un’impronta di carbonio maggiore. Nel caso specifico, si passerebbe dalle 5,2 tonnellate dell’accumulatore da 58 kWh alle 6,9 tonnellate di quello da 77 kWh: un incremento di circa il 33%.

Assumendo che – a parità di motore da 204 Cv di potenza e nonostante il peso superiore dovuto alla batteria più grande – il consumo medio dell’auto elettrica di riferimento rimanesse esattamente lo stesso (e pari a 6,3 km/kWh omologati Wltp), allora tutte le sopracitate medie di pareggio chilometrico rispetto all’ibrida si alzerebbero, a loro volta, del 33%. Significa che in Europa si passerebbe da 76.000 a oltre 100 mila chilometri. Mentre a livello mondiale staremmo, mediamente, attorno ai 220 mila chilometri.

i) Quando l’elettrica avrà davvero minore impatto ambientale dell’ibrida?

In linea di principio, avrà senso ambientale comprare un’elettrica piuttosto che un’ibrida tradizionale solo quando l’auto elettrica e la sua batteria saranno costruite con energia quanto più possibile derivata da fonti rinnovabili, che dovranno quindi essere diffuse su larga scala. Ciò consentirà di avere soglie di pareggio chilometrico più abbordabili.

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