Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti a Nick Hornby, Nicola Lagioia, Alessio Torino

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

AL CENTRO DEL MONDO - 3/3

Alessio Torino è un altro ex minumimfaxiano come Lagioia che ha fatto finalmente il grande salto editoriale. Ed era ora perché Torino è un talento letterario inesausto, istintivo, clamoroso. Al centro del mondo (Mondadori) è senza ogni irragionevole ritrosia pregiudiziale uno dei più riusciti, tramortenti, ribelli, demoniaci libri dell’anno. In una macchia di terreno ancora agricolo di un imprecisato contado marchigiano, rimasto misteriosamente lontano dal mondo (in)civilizzato, visivamente e cinematograficamente rohrwacheriano (nel senso di Alice e del suo stravagante scintillio terragno), vive un ragazzetto, Damiano Bacciardi che all’improvviso come indiavolato prende una quercia a colpi di ascia. Padre suicida, madre fuggita all’improvviso chissà dove, Damiano vive con Nonna Adele – fede sul bordo della spianatoia, farina, uova e mattarello in un amen -; il nonno ex partigiano che siede sotto il ciliegio e ricorda i fasti napoleonici; e Zio Vince, omone detto Gorilla, volgarmente puttaniere, trait d’union tra l’arcaicità della terra e lo sfrigolio del denaro che incombe. La favola nerastra, antonimia concettuale modello new agrarian style (Regno animale di Del AmoNeri Pozza), vuole Damiano e l’intera Villa Croce (o Villa dei Matti) spazio primitivo disarcionato dell’evolversi del moderno dove cova il volere del demonio. Damiano stesso ha spesso visioni, atteggiamenti, comportamenti che spingono i vicini, i Baldeschi, a pensare che qualcosa in quella famiglia non abbia mai funzionato. Poi Zio Vince rimescola le carte perché ha smania di vendere terra, favi, api, meli, cachi e magari anche la poiana che svolazza sicura sulle teste dei Bacciardi. Sbucano due loschi macedoni, si affaccia il girovago Teo e il suo pappagallo Montezuma, e i sospetti si fanno realtà. Damiano reagisce con sadica astuzia allo sconvolgere del suo mondo: metaforica difesa rispetto all’invadenza ottusa del progresso, doppio simbolico di una forma letteraria che non vuole abdicare al geniale affabulare della sospensione dell’incredulità, come dell’accostare mugugni, puntini di sospensione e polpose digressioni sulla natura, sui campi, sul costante lavorio contadino che emanano possente e struggente incedere da poema di inizio novecento. Al centro del mondo è un romanzo libero e coerente, impastato di zolle, miele (afrodisiaco), sangue e morte, ancorato alle fasi, ai cicli, ai rumori della terra, che lascia fulminati, rinsecchiti, esanimi, immersi senza fiato in un altrove intuitivamente riconoscibile e eppur letterariamente sconosciuto. Corsa lampo verso il prossimo Premio Strega. Vediamo se ci si sbaglia. Voto (dalle viscere della terra): 8 e 1/2

AL CENTRO DEL MONDO - 3/3
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