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Treofan di Terni, Jindal licenzia i 142 dipendenti. Le accuse dei sindacati: “Volevano appropriarsi del marchio e poi andarsene”

La multinazionale indiana - che controlla anche le acciaierie di Piombino - dopo l'accordo firmato ad agosto ha continuato a svuotare la fabbrica, specializzata nella produzione di film di polipropilene. Ora il polo chimico rischia di sparire. Formica (Filctem-Cgil): "Hanno comprato pensando di prendere il know-how e i clienti, per poi andarsene”
Treofan di Terni, Jindal licenzia i 142 dipendenti. Le accuse dei sindacati: “Volevano appropriarsi del marchio e poi andarsene”
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Comprare un’azienda per sottrarla alla concorrenza, prendersi i suoi clienti e alla fine chiuderla. È questo, secondo i sindacati, il piano che sta dietro alla liquidazione della Treofan di Terni messa in atto dal gruppo Jindal, la multinazionale indiana che la rilevò nel 2018 dal gruppo De Benedetti e che controlla anche le acciaierie di Piombino. Dopo l’accordo firmato in agosto, con l’impegno a riportare in Umbria gli ordini spostati verso altri stabilimenti in cambio della cassa integrazione Covid, Jindal ha continuato a svuotare la fabbrica di Terni, specializzata nella produzione di film di polipropilene e di fatto ferma dalla fine di ottobre. L’epilogo martedì 24 novembre con l’invio delle lettere di licenziamento collettivo per cessazione dell’attività per i 142 dipendenti della Treofan, azienda leader del Polo chimico di Terni.

Un’area industriale che si era sviluppata negli anni Cinquanta grazie alle invenzioni del premio Nobel per la chimica Giulio Natta e che ora rischia di scomparire: “Le altre aziende hanno già messo in dubbio i loro investimenti in caso di chiusura della Treofan”, racconta Marianna Formica della Filctem-Cgil. “Si tratta di un polo strategico a livello nazionale in cui lavorano circa 600 persone considerando anche l’indotto, il governo deve intervenire subito”. E in effetti la questione tocca da vicino il ministero dello Sviluppo economico, che in estate si era speso per arrivare a un accordo. “L’interlocuzione con il liquidatore è aperta – ha detto la sottosegretaria allo Sviluppo economico, Alessandra Todde – stiamo lavorando per trovare una soluzione seria e concreta alla vertenza”.

Il liquidatore ha motivato la decisione con la congiuntura economica negativa dovuta al Coronavirus. Discorso che i sindacati respingono totalmente: “Durante la pandemia i lavoratori della Treofan hanno fatto gli straordinari”, racconta Formica. Qua si producono imballaggi destinati soprattutto all’agroalimentare, prodotti richiestissimi nel periodo del lockdown. “In quei mesi la proprietà ha riportato a Terni molti ordini che in precedenza aveva trasferito allo stabilimento tedesco della Treofan e a quello della stessa Jindal a Brindisi. Non riuscivano a garantire la qualità produttiva che contraddistingue questa fabbrica”.

L’azienda ha comunque usufruito della cassa integrazione Covid, una sorta di contropartita nell’accordo siglato in agosto in cambio dell’impegno a riportare a Terni produzione e macchinari: “La verità è che le produzioni specializzate non sono rientrate, mentre molto materiale è stato trasferito negli altri stabilimenti del gruppo”. Dopo le nove settimane Jindal ha deciso di non rinnovare la cassa. “Ci hanno fatto sapere che per novembre non c’era nessun ordine su Terni. L’accordo ormai era chiaramente saltato”.

Secondo i sindacati la chiusura della fabbrica di Terni era parte del disegno iniziale di Jindal. “Volevano appropriarsi del marchio Treofan, il loro maggior concorrente nel settore. Hanno comprato pensando di prendere il know-how e i clienti, per poi andarsene”, spiega Formica. L’opera di smantellamento, iniziata con la chiusura dello stabilimento di Battipaglia nel 2019, aveva creato problemi con i clienti: “Molti hanno contestato la qualità della merce che Jindal aveva iniziato a produrre altrove. Per questo durante il lockdown il gruppo ha tenuto aperto lo stabilimento di Terni. Ora sono ritornati al piano originale”. I sindacati ritengono contestabili le motivazioni che hanno portato al licenziamento ed è molto probabile che si vada verso l’impugnazione della procedura, anche se la priorità è mantenere la continuità produttiva. La speranza è di modificare il mandato del liquidatore e convincere l’azienda a cedere l’impianto.

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