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Coronavirus, tra i medici di base a dominare non è la paura ma la rassegnazione

Coronavirus, tra i medici di base a dominare non è la paura ma la rassegnazione
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“Aspettavo una seconda ondata più limitata, meno massiccia, caratterizzata da focolai sparsi e non così diffusa a livello globale”. A parlare è il dottor Flavio Della Croce, che come medico di famiglia con 1.300 assistiti rappresenta con i suoi colleghi, la prima linea di presidio all’epidemia nel paese in cui vivo, Ziano Piacentino. E’ domenica pomeriggio, Della Croce è di ritorno dalla visita a un paziente molto probabilmente colpito da Covid-19 e dal lavoro nell’orto, la cura della campagna e dei propri assistiti sono cose alle quali non si può rinunciare.

Avevo incontrato il “dutur”, come lo chiamano qui, in aprile ma anche se la situazione oggi è un po’ diversa: più elevata numericamente ma con i casi gravi un po’ ridotti, grazie anche a una maggiore esperienza terapeutica e a malati mediamente più giovani, non si può dire che non sia molto complicata. “In questo momento ho 14 casi di persone malate con sintomi, il contagio avviene fondamentalmente su base familiare e questo è preoccupante in vista del Natale, in quell’occasione non bisognerà allargare il nucleo a degli esterni”.

Quindi casi meno gravi, ma più numerosi e l’incognita del sovrapporsi, con la stagione invernale, dei malanni stagionali a cui bisogna aggiungere il peggioramento psicologico di alcuni pazienti, l’insorgere di depressioni, disturbi nei comportamenti alimentari o forme di fobia tra i più giovani e le difficoltà dei malati cronici, senza trascurare l’isolamento sofferto dai bambini.

Gli chiedo se lui e i suoi colleghi sono spaventati: “Più che altro rassegnati per il tipo di lavoro a cui siamo costretti, con cumuli di carte e di burocrazia, e un rapporto con le persone reso più complesso da tutte le precauzioni che necessariamente bisogna osservare”.

Anche se i protocolli curativi si sono stabilizzati, non riesce però a nascondere un certo dispiacere per la cancellazione, nel mese di maggio, dell’idrossiclorochina “che se utilizzata in modo adeguato funzionava” e per il fatto che pur essendosi dichiarato (assieme a un collega) disponibile a effettuare i tamponi, non li ha ancora ricevuti. “Non siamo lontani dal picco massimo, e tra non molto la situazione dovrebbe migliorare, nel frattempo in particolare nelle zone più colpite, si è creato un certo grado di immunizzazione”.

Non ha difficoltà a sostenere che avrebbe preferito un blocco anticipato e anche più drastico, per un periodo limitato a una quindicina di giorni e questa volta davvero nazionale. Tiene duro, non recrimina e mi saluta invitandomi a cercare di diffondere un po’ di ottimismo “come è venuto se ne andrà”. Domani sarà un nuovo giorno, di ordinaria pandemia.

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