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Sanità in Calabria, banchi a rotelle, i soldi di De Luca: il giornalismo da turisti che scopre i fatti solo dopo che sono successi

Sanità in Calabria, banchi a rotelle, i soldi di De Luca: il giornalismo da turisti che scopre i fatti solo dopo che sono successi
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Quand’è che abbiamo scoperto che in Calabria in sei mesi erano stati realizzati soltanto sei postazioni di terapia intensiva? Solo grazie al generale Cotticelli, l’ex commissario straordinario della sanità calabrese. Sì, proprio lui: l’ineffabile, incredibile, insostenibile autore di una straordinaria intervista dal sapore grottesco. Senza le sue parole avremmo mai pensato alla Calabria? E senza i banchi a rotelle, avremmo mai parlato di scuola? Ci siamo incaponiti sulle rotelle, ci siamo specializzati sulle rotelle. Immagine perfetta per cucinare ogni giorno un gustoso piatto di ironia. Eppure tredicimila plessi scolastici su 40mila sono stati in qualche modo ristrutturati. Pochi o molti? Soldi spesi bene o male? Hanno ristrutturato o solo sprecato? E quand’è che abbiamo scoperto che mancavano i bus, che le metropolitane erano un covid centre? Ma certo! Quando a settembre li abbiamo visti zeppi di persone. Qualcuno che abbia fatto toc toc alla ministra De Micheli a luglio per chiederle: a chi hai mandato i soldi, li stanno spendendo o stanno dormendo? Se loro erano in vacanza, come affermiamo senza tema di smentita, noi dov’eravamo? La ministra è responsabile, le regioni sono responsabili. Ma coloro che ogni santissima sera giudicano urbi et orbi, grazie a quale fatica agostana oggi pontificano? E quando a giugno il presidente della Campania, intento a promuovere la propria campagna elettorale, destinava un miliardo di euro per un extra bonus alle partite iva e ai pensionati, in sé misura anche comprensibile, qualcuno ha alzato la mano per dirgli: ma come, la sanità è al collasso, dici di avere un organico ridotto di ventimila unità e ospedali fatiscenti, la nuova ondata sta per arrivarci addosso e tu scegli di destinare altrove le poche risorse che hai?

Noi giornalisti sembriamo turisti. Scopriamo i fatti dopo che sono accaduti e facciamo come quei pensionati che consumano il tempo ad osservare e cavillare sui cantieri in corso. E così all’aumentare dei programmi di informazione diminuisce l’informazione. Si è tutti sui social a commentare l’istante. Perché la notizia diviene cavillo oppure piega per la via della caciara. E così passa la giornata.

C’è sempre qualcun altro che sbaglia. E noi?

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