“Una personalità spregiudicata e incurante del rispetto delle regole, ispirata ad una logica strettamente commerciale e personalistica, anche a scapito della sicurezza collettiva”. Il giudice per le indagini preliminari di Genova, Paola Faggioni, motiva anche così la misura degli arresti domiciliari per Giovanni Castellucci, ex ad di Autostrade, indagato nella nuova inchiesta della procura di Genova per attentato alla sicurezza dei trasporti e frode sulle barriere fonoassorbemti difettose e potenzialmente pericolose. Un manager che “ha sempre avuto il pieno controllo di Aspi e per molto tempo anche di Atlantia e, nonostante le sue dimissioni dal gruppo, sussiste il pericolo attuale e concreto di inquinamento probatorio e di reiterazione di reati”. Un inquinamento che viene contestato anche a un altro es dirigente, finito ai domiciliari, Michele Donferri Mitelli, che stando a una intercettazione, dopo il licenziamento chiese a un collega di portar via dal suo ufficio i documenti sul Polcevera, ovvero il ponte Morandi collassato.

Castellucci, dal 2001 in Autostrade: da Avellino a Genova – Castellucci in Autostrade era arrivato nel 2001, chiamato dalla famiglia Benetton. Prima direttore generale, per poi diventarne anche amministratore delegato dal 2005, fino al gennaio 2019. Nel 2006 assume anche il ruolo di amministratore delegato del Gruppo Autostrade, che poi si trasforma in Atlantia. Nel processo per la strage del bus caduto nel 2013 da un viadotto vicino ad Avellino viene assolto in primo grado, ma dagli atti depositati emerge che quella assoluzione potrebbe essere arrivata grazie alla versione di un ex dirigente invece condannato in quel processo: “Se dicevo la verità lo ammazzavo”. I morti in quello spaventoso incidente furono 40, tre di meno del ponte Morandi.

Finisce nuovamente nel registro degli indagati per il crollo del ponte di Genova del 14 agosto 2018. Si attira anche molte polemiche per le scuse tardive arrivate dopo la tragedia. Nel frattempo cresce la presa di distanza da parte della famiglia Benetton. Castellucci decide di dimettersi prima dalla guida di Aspi, che nel gennaio 2019 passa a Roberto Tomasi, poi il 17 settembre 2019 lascia anche Atlantia. Esce con una maxi-buonuscita da 13 milioni, che viene molto criticata. Tre mesi dopo però il cda decide di sospenderne il pagamento. E così è facile capire che Castellucci – per il cui arresto i legali esprimono “stupore e preoccupazione”, poteva essere ancora molto vicino a tutti e molto potente. Poteva, secondo il gip, “pilotare i suoi collaboratori, anche indagati, condizionandone le dichiarazioni” come avvenuto per il processo Avellino secondo gli inquirenti. Era anche “era perfettamente al corrente della situazione di problematicità delle barriere e costantemente informato sulle sulle decisioni per la gestione delle stesse, che ha pienamente avvallato e sostenuto“.

Ma non solo: “Ha da sempre avuto il pieno controllo di Aspi e per molto tempo anche di Atlantia e, nonostante le sue dimissioni dal gruppo, sussiste il pericolo attuale e concreto di inquinamento probatorio e di reiterazione di reati della stesse specie di quelli per cui si procede”. Per il giudice “concreto e attuale è anche il pericolo di inquinamento probatorio tenuto conto degli stretti contatti con gli altri indagati, con i quali in passato ha sempre tenuto condotte artificiose della realtà con modalità tali da indurre ragionevolmente a ritenere che il predetto, reiterando il medesimo modus operandi, elabori una strategia comune e versioni di comodo, essendo le indagini ancora in corso“.

L’ex dirigente accusato di sviare le indagini – Il riferimento è a Michele Donferri Mitelli, ex responsabile manutenzioni finito ai domiciliari, considerato dal gip “l’ideatore e l’artefice principale delle condotte criminose contestate”. Donferri è colui che cerca di convincere Paolo Berti, ex direttore centrale operativo dell’azienda, a continuare tenere la linea aziendale sul caso Avellino e sulla posizione di Castellucci. Senza tralasciare l’episodio, descritto dal giudice, della sottrazione di documenti sul Ponte Morandi, “per sviare le indagini“, subito dopo il suo licenziamento. Donferri chiede a un collega di portarsi un “bel trolley grosso cominciamo .. devo comincia a prendere l’archivio là del Polcevera quella è roba mia”, il collega si mette a disposizione e l’altro “l’archivio mio piano piano un cosetto al giorno tanto là sono scatole di legno ti stampi la foto e la roba che ci sta dentro”. Allo stesso modo, riporta il gip, l’indagato aveva chiesto alla segretaria, via whatsapp di “sottrarre di nascosto della documentazione” per poi raccomandarsi di cancellare i messaggi. C’è poi il riferimento a un verbale della polizia stradale sul cedimento della barriera sul rio Rczza. Documento che non è stato trovato e sul qual Donferri sostiene di essere riuscito a “raddrizzare” la questione.

C’è poi il caso del viadotto Giustina che il gip ricorda e riporta ampiamente. I lavori di ripristino sarebbero costati “il triplo” seguendo le norme. E Donferri cerca una soluzione come emerge da una intercettazione dell’agosto del 2017: “…al limite ci mettiamo calcestruzzo alleggerito…“. L’indagato si era attivato nel novembre del 2018 anche perché Castellucci, convocato in Procura a Genova per essere interrogato, non fosse assaltato dai giornalisti. Donferri contatta anche il generale dei Carabinieri Franco Mottola perché l’allora amministratore delegato sia protetto. E “il servizio di osservazione confermava che effettivamente, in data 28.11.2018, in occasione dell’interrogatorio di Castellucci, era presente davanti al palazzo di giustizia il comandante provinciale dei Carabinieri ed il comandante della compagnia di Genova Centro”. Che per il giudice rappresenta “la straordinaria capacità di esercitare forti pressioni e di condizionamento anche sulle forze dell’ordine”.

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