Le industrie italiane prevedono di chiudere il 2020 con un calo dei ricavi dell’11%. E’ l’obolo da versare alla pandemia secondo quanto emerge dall’ultima indagine del centro studi di Mediobanca sulla manifattura del nostro paese. Il parziale recupero della seconda parte dell’anno con vendite in aumento mediamente del 5,4% non sarà infatti sufficiente per recuperare il – 15,7% del periodo gennaio-giugno. L’indagine prende in esame 2.800 aziende di medie dimensione a gestione familiare. I settori più penalizzati saranno quelli della moda e dell’automotive con una flessione dei ricavi che supererà il 20%. In particolare tessile e abbigliamento dovrebbero registrare a fine anno una contrazione del fatturato di circa un quarto. Pelli e cuoio un – 23%. Per le auto è atteso un calo delle vendite del 21,7% con effetti a cascata sul trattamento dei metalli (-17,7%) e il metallurgico (-16%). Cali sopra la media anche per il legno arredo (-14%) . Al contrario il comparto alimentare chiuderà l’anno con una fatturato in crescita rispetto all’anno prima. Al di fuori dell’industria flessioni importanti nel 2020 dovrebbero colpire l’edilizia (-20%), l’immobiliare (-22%), i trasporti (-19%), specialmente delle persone, il petrolifero (-13%), la fornitura di energia e gas (-12%) mentre il commercio non alimentare subirà cali di fatturato compresi tra il 20% e il 30%. Il commercio alimentare dovrebbe tenere, con fatturati invariati, ad esclusione del canale hotel, ristoranti e bar, pesantemente colpito dal lockdown.

La previsione di Mediobanca è coerente con quella contenuta nel Rapporto Cerved Pmi 2020 diffuso oggi. Si stima che il fatturato delle piccole e medie imprese private diminuirà dell’11% e fino al 16,3% in casi di nuovi lockdown. Cerved stima che, sul totale delle imprese private, quindi non solo Pmi, a fine 2021 verranno persi 1,4 milioni di posti di lavoro con una riduzione del capitale di 47 miliardi “qualora, cessate le attuali misure di sostegno, non ci siano prospettive di rilancio”. Con nuove chiusure, i disoccupati salirebbero a 1,9 milioni e a 68 miliardi la perdita di capitale.

Benetton re dei debiti, Fca regina delle perdite Guardando alla situazione della grande imprenditoria del paese lo studio rileva come tra i primi 20 gruppi, 9 siano a controllo pubblico, 7 a controllo estero e solo 4 a controllo privato italiano. In vetta ritorna Enel grazie a ricavi per oltre 77 miliardi di euro. Seguono Eni (69 mld) e poi Fca (24,4 mld). Enel ed Eni, entrambe società dove il tesoro ha una partecipazione di circa il 30%, sono anche i due gruppi che nel biennio 2018/2019 hanno generato più profitti: 6,9 mld la prima, 4,2 mld la seconda. Fca Italia ha invece incamerato una perdita di 1,6 mld di euro. Male anche Whirlpool Italia con un rosso di 714 milioni. La società ha appena deciso la chiusura del polo produttivo di Napoli in cui lavorano quasi 400 persone. Il gruppo più indebitato è Enel con 69 miliardi, seguita, con 51 mld, dalla holding della famiglia Benetton “Edizioni” che controlla il 30% di Atlantia e, a scendere, Autostrade. In terza posizione Telecom Italia con 32 mld ed Eni con 30. Enel ed Eni sono comunque gli unici due grandi gruppi con un fatturato che supera il valore dei debiti. Poste Italiane e Trenitalia sono i due principali datori di lavoro del paese. Il primo con 129mila dipendenti, il secondo con 83mila.

Tra le banche Unicredit si conferma al primo posto per valore di attivi. Raggiungono gli 852 miliardi di euro. Segue Intesa Sanpaolo con 801 miliardi ma, avverte l’indagine, il sorpasso è imminente alla luce dell’acquisizione di Ubi. La decisione della Banca centrale europea di sospendere il pagamento dei dividendi bancari ha congelato in Italia 6,2 miliardi di euro di cedole per l’esercizio 2019.

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