Gli Italiani si preoccupavano dello shopping per le Festività, quando Bolzano, Trento, Verona e molti altre città avevano detto no ai mercatini “di Natale”, quei luoghi così alla moda e così ad altissima concentrazione di gente, dove le pantofole di pezza o gli orologi a cucù sembrano indispensabili, anche se ben poco v’è di tipico e di originale, e tutto in compenso costa carissimo, forse per le luminarie, forse per gli addobbi e gli odori non propriamente carducciani che si sentono nell’aria (salsicce).

Ora, che non solo dovremo interrompere ogni svago a partire dalle sei di sera e già si profilano ben altre chiusure più pesanti, forse gli appassionati dei regali natalizi sposteranno le loro preoccupazioni su altro, anche se da un popolo che intende la propria libertà sotto forma di bonus vacanze, di pausa caffè e di aperitivi a tutte le ore (e che so, non in termini di certezza della Legge, o di tutela della libertà di informazione), c’è ben poco da sperare.

Ci hanno detto “ce la faremo”, ma pochi hanno sottolineato che la crisi economica del Coronavirus in grandissima parte non è causata dal virus stesso. Pressoché nessun intellettuale, politico o comune cittadino si è rimboccato le maniche o semplicemente battuto per incominciare a risolvere gli antichi problemi, che la pandemia riacutizzava, mettendo in ginocchio le entrate di milioni di italiani. Meglio scordarsi o’ passato, molto più redditizio, anche elettoralmente, pensare a qualche aiutino, meglio se mirato a favore del proprio gruppo di sostegno.

Mentre la pandemia si aggrava – invero grazie a Dio pare non in misura così dolorosa come nella prima ondata – mentre la situazione economica peggiora, il nostro occhio è ancora principalmente, direi in grande maggioranza, teso ai problemi di superficie, ai mercatini se possibile, oggi alla ristorazione, alla musica, al teatro, alle palestre, tutte attività sacrosante e rispettabilissime, ma che soffrono in particolare perché trascurate e portate al limite di sopravvivenza da decenni di politica economica inesistente o dannosa.

Sia detto chiaramente: paghiamo e pagheremo purtroppo ancora per molto tempo le conseguenze di esserci accontentati tutti assieme degli aperitivi, delle feste, delle vacanze, dei ristoranti stellati e non aver, invece, perseguito con ferra volontà e sacrifici la costruzione di un’economia più efficiente, che facesse maggiori profitti e creasse più ricchezza per tutti, non solo per alcuni furbi.

Perché gran parte delle attività produttive di questo paese, dall’artigianato alla piccola industria, dalla ristorazione al turismo, fatte le somme dei costi e dei ricavi ha sempre lasciato molto poco nelle tasche di proprietari e lavoratori, sicché non ci voleva John Maynard Keynes per capire che al primo stormire di foglie di crisi sarebbero finite a gambe all’aria, senza un euro, incapaci di pagare i propri dipendenti, privi liquidi per arrivare alla fine del mese.

“Efficienza” non è una brutta parola, vuol dire creazione di un mercato realmente selettivo, che premi chi lavora e escluda gli incapaci o i furbastri. Che punisca chi non investe, chi non assume i migliori ma solo gli amici, chi è convinto che essere imprenditori significhi ridurre i costi e non aumentare i profitti, chi delocalizza perché incapace di una vera strategia. Chi porta all’estero il proprio denaro, chi non paga le tasse, non perché violi la legge, ma perché scarica su altri i propri costi. Chi infine che accetta e dà il proprio consenso non innocente a una classe politica incapace e proprio per questo ben disposta a optare per i favori selettivi, piuttosto che per l’interesse generale.

Insomma, come anche un fesso può capire, in Italia i problemi che rendono più doloroso il Coronavirus sono numerosi e sono in grandissima parte tutti vecchi, ma nessuno vuole metterci mano. E così anche i ristoratori, le palestre i teatri non guariranno. Nemmeno si potranno riaprire i mercatini.

Non c’è affatto ragione per pensare a svagarsi, a brindare a perseguire appena possibile quella “bella vita” che, al contrario, dipende solamente dalla nostra capacità di risolvere altri problemi: la riduzione del debito pubblico, il rafforzamento della struttura delle nostre imprese, la riforma della Pubblica Amministrazione, della Magistratura, del Parlamento e delle Regioni, la riduzione dell’infinita liturgia di sprechi preliminari a qualsiasi ristorante a qualsiasi vacanza e molti altri. “In vacanza da cosa?”, sbottava sorridendo ironico il mai troppo rimpianto Sergio Marchionne.

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