Mentre il governo tratta con i sindacati sulla proroga del blocco dei licenziamenti per i lavoratori a tempo indeterminato, dall’ultimo osservatorio sul precariato dell’Inps arriva una nuova conferma che l’emergenza Covid fino a qui ha colpito duramente solo i contratti meno garantiti. A fine luglio, nonostante un lieve recupero, i posti a termine erano 568.800 in meno rispetto allo stesso mese del 2019. Male anche gli stagionali (-174mila) e i rapporti ancora più instabili, quelli somministrati (-168.177) e gli intermittenti o “a chiamata” (-99.387). Nel complesso, il saldo annualizzato è negativo di 780mila posti. Ma il timore è per l’onda d’urto che arriverà nei prossimi mesi, quando l’impatto delle nuove restrizioni su ristorazione, settore alberghiero, attività culturali e spettacoli si sommerà agli effetti del precedente lockdown. Secondo la Fondazione Studi consulenti del lavoro, i posti di lavoro a rischio solo nelle piccole e medie imprese sono circa 1 milione: il 10% del totale.

Si tratta una stima basata sulle opinioni di un campione di 5mila consulenti che lavorano a stretto contatto con gli imprenditori a capo delle aziende con meno di 250 addetti, “e ricalcolata sui dati Istat relativi al totale dell’occupazione in forza nelle pmi”, spiega Ester Dini, responsabile Centro Studi Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Il dato mette insieme “le chiusure che ci sono già state, le mancate assunzioni, il mancato rinnovo dei contratti a termine, i licenziamenti già avviati e quelli prevedibili in conseguenza dello sblocco, ad oggi previsto al 31 dicembre”. Dal loro osservatorio, i consulenti prevedono che sblocco dei licenziamenti e avvio delle ristrutturazioni aziendali colpiranno appunto i dipendenti delle pmi con molta più probabilità rispetto a chi lavora per le grandi imprese. Non solo: i dipendenti over 55, in questa fase, risultano più a rischio rispetto ai giovani e ai lavoratori autonomi già pesantemente colpiti nei mesi scorsi. L’impatto più pesante, stando alle previsioni raccolte nell’indagine preparata per il Festival del Lavoro, si farà sentire su alberghi e ristoranti. Più di metà del campione prevede una riduzione degli organici superiore al 15%. Scenario preoccupante anche per la filiera del tempo libero e della cultura: il 27,2% dei consulenti si aspetta una riduzione di occupati tra il 10 e 15%, il 30% vede nero e punta anche qui su cali superiori al 15%. Fanno paura il crollo del turismo e le nuove misure che inevitabilmente peseranno su cinema, eventi, palestre e in generale tutto l‘intrattenimento. E ancora: nel commercio il 30,3% dei rispondenti stima una contrazione degli occupati tra il 10 e 15% e il 23,3% superiore al 15%.

Il manifatturiero, dopo la robusta ripresa agostana, appare meno a rischio (solo il 13,6% dei consulenti vede un calo “fortissimo”). Del resto “i dati Istat sul primo semestre parlano di una contrazione dell’occupazione molto limitata nell’industria (-0,6%) rispetto al terziario dove si è registrato invece un calo importante, del 4,9%”, ricorda Dini. Ma molto dipende dall’evoluzione dei prossimi mesi e dallo sblocco dei licenziamenti che, ammette il report, “potrebbe portare a contabilizzare un numero di perdite molto più elevato rispetto alle attese, anche a seguito dei processi di ristrutturazione che molte aziende saranno costrette ad avviare”. Soprattutto le piccole, più in difficoltà nello star dietro ai cambiamenti del mercato e ai nuovi comportamenti di consumo determinati dalla pandemia. Più ottimista per ora Confimi Industria, confederazione di piccole e medie imprese manifatturiere: da un’indagine tra 1000 associate attive nei settori metalmeccanico, alimentare, edile e dei servizi è emerso che il 72,7% manterrà invariato il livello occupazionale, il 9,5% lo ridurrà di non più di 5 unità e il 17,8% prevede addirittura nuove assunzioni. La percentuale arriva al 21% nella meccanica.

Molto più contenute le previsioni di riduzione per i settori del credito e assicurazioni e dell’informazione e comunicazione. Rispettivamente il 29,3% e 24,5% dei consulenti del lavoro sondati pensa che l’impatto della crisi sarà nullo, mentre per la maggioranza (37,9% e 35%) si fermerà al massimo al 5%. Queste previsioni, sottolinea il rapporto, sono coerenti con la probabile evoluzione dello scenario economico nei prossimi anni. Secondo il 38,6% dei consulenti, le imprese torneranno al fatturato pre-Covid non prima di due anni, nel 2022, mentre il 35,7% dovrà attendere addirittura il 2023-2024. Solo il 12,6% ritiene che già dal prossimo anno le aziende saranno in grado di recuperare le perdite.

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