È morta per Covid a 24 ore di distanza dal marito. Lea Vergine, all’anagrafe Lea Buoncristiano, aveva 84 anni ed era una delle più importanti figure della critica d’arte a livello italiano ed internazionale. Il decesso è avvenuto all’ospedale San Raffaele di Milano il giorno dopo la morte del marito Enzo Mari, ricoverato anche lui nel medesimo istituto e deceduto per complicazioni legate al Covid. Napoletana, Vergine aveva conosciuto Mari negli anni sessanta quando erano entrambi sposati. Avevano vissuto insieme, accusati di concubinaggio, a Napoli, e poi lei si era trasferita nel capoluogo lombardo, fino a quando nel 1978 i due erano convolati a nozze.
Il ciuffo bianco, la sigaretta malandrina tra le dita, l’eloquio ironico e tagliente, la Vergine era stata tra le prime ad affrontare con energia e spirito di rottura l’avvento della fisicità e dell’azione performativa nel mondo dell’arte contemporanea. Tra Il corpo come linguaggio (1974) e L’altra metà dell’avanguardia (1980), Vergine cesella il doppio cambiamento sia di sostanza nell’analisi delle nuove “opere d’arte” che nella firma a margine del gesto artistico mostrando la presenza cospicua delle donne tra gli artisti. “L’arte non è necessaria”, spiegava la Vergine in una lunga e ricca intervista video ad Artribune. “È il superfluo. E quello che ci serve per essere un po’ felici o meno infelici è il superfluo. Non può utilizzarla, l’arte, nella vita. ‘Arte e vita’ sì, nel senso che ti ci dedichi a quella cosa, ma non è che l’arte ti possa aiutare. Costituisce un rifugio, una difesa. In questo senso è come una benzodiazepina”.
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