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‘La lezione di Enea’: la storia di un eroe perdente adatta a tempi inquieti

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C’è stato un momento, molto lungo, della storia della letteratura, in cui Virgilio occupava una posizione fondamentale nel pantheon degli autori classici, proprio accanto ad Omero. Non è un caso che Dante avesse scelto proprio lui come guida per accompagnarlo nel viaggio più pericoloso, quello negli inferi.

Oggi Virgilio e il suo eroe, Enea, sono un po’ dimenticati. L’Eneide è relegata suo malgrado allo studio svogliato di qualche studente di liceo, che impara a detestarlo per il suo latino complesso e i suoi esametri dattilici. La repulsione dei ragazzi ai classici è sempre legittima, ci mancherebbe, chi non ha snobbato Manzoni o Foscolo quando era dietro il banco? Umberto Eco diceva provocatoriamente che I promessi sposi sono così belli che bisognerebbe vietarne la lettura a scuola.

Si può recuperare la fama di Enea? A chiedersi il motivo di questa rimozione è Andrea Marcolongo – già autrice del best seller sul greco antico La lingua geniale (Laterza) – che lo fa con La lezione di Enea (Laterza), che con la sua consueta freschezza ci porta alla riscoperta dell’eroe troiano. Chi era dunque Enea? Per rispondere occorre prima chiedersi perché Virgilio lo scelse. Come mai un eroe che nell’Odissea era appena una comparsa diventa protagonista dell’Eneide? Perché l’imperatore Ottaviano Augusto volle consacrarlo come libro ufficiale dell’Impero contro la volontà dello stesso Virgilio?

Enea è un eroe strano, è un fuggiasco. La sua avventura inizia a Troia, mentre la città viene devastata dalle fiamme della furia greca. Mentre il rogo della città illumina la notte Enea carica sulle spalle l’anziano padre, prende per mano il figlio, e fugge. Nella versione del mito raccontata da Virgilio Enea è fondamentale perché al termine di questo lungo viaggio diventerà il capostipite della dinastia che porterà alla nascita di Romolo e Remo, è quindi la radice della fondazione di Roma.

Eppure Enea è un perdente, un fuggitivo, un esule, secondo alcuni addirittura un traditore. Per questo l’Eneide è un poema adatto ai tempi inquieti. Se Ulisse viaggia per tornare a casa, Enea non sa dove sta andando, ma sa che ha un destino da compiere. Non è un eroe scaltro e coraggioso come Ulisse, né un uomo forte e determinato come Achille. Però ha una missione: fondare una nuova città. È guidato dalla speranza. Parte da una città ridotta in cenere dalla sconfitta, ma ha il desiderio di ricominciare.

Contro di lui si accanirà Eolo con la furia dei suo venti, la maledizione di Didone, una nuova guerra, e dovrà scendere negli inferi prima di poter riemergere e giungere in Lazio: Enea prende così coscienza del suo destino.

Considerato spesso un autore troppo enfatico e retorico, meno raffinato di Omero o di Ovidio, in realtà sotto la superficie Virgilio nasconde una grande profondità di indagine nell’animo umano. Lo scrive bene Marcolongo e mi trova d’accordo, ma se non vi fidate di noi fidatevi del consiglio di Dante.

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