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Coronavirus, le parole creano. E di questi tempi possono fare la differenza

Coronavirus, le parole creano. E di questi tempi possono fare la differenza
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Non è facile convivere con il Covid, ma lo è ancora di più se vi aggiungiamo un uso ambiguo delle parole. Un uso che getta terrore e guerra tra persone che dovrebbero collaborare per vincere la pandemia. “Le Regioni in trincea”; “Dobbiamo scovare gli asintomatici”; “Lasciare le famiglie ostaggio dei propri figli”; “I medici sono investigatori cui spetta il compito di inseguire i contatti dei contagiati”.

Vado sul Dizionario Devoto-Oli e apro alle seguenti voci:

Trincea: “Simbolo di rischi e disagi diurni”. Ma anche: “Opera di fortificazione campale costruita dalla fanteria allo scopo di proteggersi nella guerra di posizione”.

Scovare: “Riuscire a trovare qualcuno o qualcosa di difficilmente reperibile”. Ma anche: “Rintracciare dopo lunghe ricerche una persona che si nasconde”.

Ostaggio: “Persona che il nemico tiene in proprio potere per garantirsi da eventuali violazioni di un proprio diritto o, nel caso di occupazione di un paese, per garantire le proprie forze armate e la loro attività contro ogni possibile atto di ostilità da parte della popolazione”.

Investigatore: “Ricercatore accurato e pertinace.” Ma anche: “Agente di Polizia o magistrato incaricato di condurre indagini”.

Le parole creano. Molte persone sfuggono alle app e ai tamponi nelle scuole perché l’immagine che diamo dell’ammalato è quella di un untore volontario e non di una parte della popolazione in difficoltà. Gli ammalati non sono mafiosi che si nascondono, ma persone che in molti casi hanno paura di perdere il lavoro, di essere escluse dalla società e non avere più un soldo per mangiare.

Gli ammalati di Covid sono persone che hanno un problema che, certo, se non risolto si ripercuoterà su tutta la popolazione. Abbiamo bisogno anche del loro aiuto per uscire da questo momento difficile.

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