Ormai è confermato: gli italiani non hanno smesso di leggere quando è finita la quarantena e sono stati liberi di uscire. E questo ha fatto bene all’editoria che, tra luglio e settembre, ha ridotto la perdita di fatturato passando da -11% a -4% e dimostrando una grande capacità di recupero. Anche gli e-book hanno registrato un vero boom con un incremento del 13% rispetto al 2019.

Questi dati sono stati presentati lo scorso 14 ottobre durante la Fiera di Francoforte da Ricardo Franco Levi, presidente di AIE-Associazione Italiana Editore.

Cosa è successo in questi mesi? Possiamo dire un assestamento, infatti gli italiani hanno ripreso ad andare in libreria. Durante il lockdown le vendite dei canali online avevano raggiunto il 60-70% del totale, anche se molte librerie si erano organizzate con la consegna a domicilio. Alla fine di settembre i canali online rappresentavano il 43% e i quelli fisici il 57%. Infatti, settembre con una crescita dello 0,3% è il primo mese del 2020 interamente positivo per le librerie aderenti a Arianna+, il servizio che consente agli operatori della filiera dell’editoria di comunicare i dati ed effettuare ordini con un unico standard.

Forse, per comprendere meglio l’importanza di questi numeri, è bene ricordare cosa è successo nel 2019 e all’inizio dell’anno in corso. La crisi del 2020 si è abbattuta su un mercato editoriale che, nel 2019, aveva avuto un andamento molto positivo. Secondo il rapporto sullo stato dell’editoria in Italia di AIE, alla fine dell’anno scorso il comparto era cresciuto del 3% recuperando i valori pre-crisi e confermandosi come prima grande industria culturale del Paese, con un fatturato comparabile a quello delle pay-tv.

Vale la pena precisare che i dati diffusi non comprendono le piattaforme di autopubblicazione quali Amazon, Youcanprint e StreetLib. Secondo Giovanni Peresson responsabile dell’Ufficio studi AIE, il motivo per cui non vengono inseriti è evidente: sono modelli imprenditoriali non confrontabili. Gli editori comprano dall’autore, investendo nell’acquisire i diritti di pubblicare un titolo. Si assumono il rischio imprenditoriale nell’acquistare la “materia prima” della sua creatività, mentre le aziende che si occupano dei self-publisher vendono un servizio – o un insieme di servizi – a un cliente che lo acquista. Questo secondo Peresson, ma siamo proprio sicuri che sia solo così?

Per avere un quadro più completo, è bene ricordare che nel 2019 sono stati pubblicati 48.763 e-book e che le prime venti piattaforme di self-publishing hanno proposto 20.394 titoli, pari al 41,8% della produzione complessiva.

Sempre secondo il centro studi di AIE, le case editrici più attive nel digitale sono Harper Collins Italia con 1.477 titoli (3,03%), Newton Compton con 1.255 (2,57%), Franco Angeli con 748 (1,53%), A. Mondadori con 706 (1,45%) e Edizione Messaggero Padova con 620 (1,27%). Purtroppo solo il 56% dei titoli che vengono pubblicati sono proposti anche in versione digitale, molte opere restano in cartaceo per problematiche tecniche (tabelle, grafici, illustrazioni a colori) altre semplicemente perché l’editore non ritiene interessante realizzare l’e-book.

Come spiegare l’impennata del digitale nel 2020? In parte con la difficoltà di raggiungere con le novità i punti di vendita fisici con la chiusura delle librerie nella fase di lockdown; però, a mio avviso, vi è anche la scelta di molti autori di non rivolgersi a un editore tradizionale ma di sperimentare una nuova strada per raggiungere il lettore. Una strada che spesso dà molte soddisfazioni sia dal punto di vista della visibilità sia da quello economico.

A questo proposito sto lavorando per proporvi la storia di Adam Thomson, un autore che con un solo romanzo ha superato il milione di pagine lette ed è sempre ai primi posti della classifica di vendita di Amazon.

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