Come altri artisti di rilievo, tediati dal blocco dei concerti, anche Corey Taylor in piena pandemia ha prima registrato e quindi pubblicato, lo scorso 2 ottobre, un nuovo album. Frontman di Slipknot e Stone Sour, protagonista sopra e sotto il palco di svariate collaborazioni, il cantante esordisce in versione solista praticamente 47enne: quando cioè buona parte dei suoi colleghi, appende (almeno nelle intenzioni) microfono e asta al chiodo. CMFT è un disco che vive di rimandi, e trasuda influenze: dal grunge all’hard rock, passando per lo stoner, il blues e il new metal, così come abbondantemente anticipato dallo stesso Taylor, nelle interviste di rito che hanno preceduto questa uscita.
Da qui allo svolgimento di un tema piatto, il passo sarebbe stato non breve ma brevissimo: e diciamolo subito, non è questo il caso. CMFT è un album godibile, che non sorprende ma nemmeno annoia: degna colonna sonora di un viaggio in macchina, meglio se su strada libera e con cappotta abbassata. Merito oltre che dei brani in esso contenuti, anche del lavoro egregio svolto in studio, alla chitarra, da Christian Martucci: che di Taylor, da sei anni a questa parte, è pure compagno di band. Un disco, questo, che sopravvive ai singoli che lo hanno anticipato: intriso, com’è, di altre potenziali hit radio, tali da giustificare una prevedibile quanto dovuta serie di concerti. Contando il background dal quale egli muove, non è il lavoro a cui approderanno, felici, i fan delle sue sortite più dure. Piuttosto CMFT ricorda, a tratti parecchio, i già citati Stone Sour in una versione, se possibile, ancor più disinquinata.
Scevro, forse, dai condizionamenti insiti nel confronto coi sostenitori della prima ora, Corey Taylor si racconta in tredici canzoni fondamentalmente semplici, a metà tra accordi di quinta e battute acustiche, sfociando in un mix, finale, che ricorda molto da vicino l’esperimento (divenuto poco altro) Velvet Revolver: il supergruppo nel quale, all’alba dei duemila, confluirono gli ex Guns N’ Roses Slash, Duff McKagan e Matt Sorum, Dave Kushner (Wasted Youth, Infectious Grooves), ed il già cantante degli Stone Temple Pilots Scott Weiland.
Dall’attacco irruente di HWY 666, passando, subito dopo, all’essenza quasi unplugged di Black Eyes Blue per non parlare (a proposito) dell’omaggio, evidente, agli Alice In Chains con Silverfish, e tornando quindi alla tensione muscolare di Culture Head, Everybody Dies On My Birthday e della (quasi) title track CMFT Must Be Stopped, questo disco non mancherà di tenervi compagnia da qui ai prossimi mesi, senza possibilità (forse) di durare troppo oltre.
Guardando poi alle uscite che cadranno da qui a fine anno, questa rischia di suonare come una sentenza addirittura anticipata: confidiamo però che tra un Bruce Springsteen, i nuovi di Puscifer e Smashing Pumpkins, Corey Taylor sia stato abbastanza bravo, con questa sua prima prova, da ritagliarsi la considerazione che comunque merita superando sicuramente la sufficienza.