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Casapound, chiuse indagini sull’occupazione della sede di via Napoleone III: in 16 rischiano di finire a processo

Tra di loro anche il leader Gianluca Iannone e il dirigente nazionale Davide Di Stefano. Si tratta dell’immobile che a giugno scorso finì oggetto di un sequestro preventivo chiesto dai pm capitolini e condiviso dal gip. Da quel giorno ci si aspettava uno sgombero, che però è rimasto sulla carta
Casapound, chiuse indagini sull’occupazione della sede di via Napoleone III: in 16 rischiano di finire a processo
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Alcuni dei nomi noti di Casapound rischiano di finire a processo per la vicenda dell’occupazione, che dura da 17 anni, della sede romana di via Napoleone III. Si tratta dell’immobile che a giugno scorso finì oggetto di un sequestro preventivo chiesto dai pm capitolini e condiviso dal gip. Da quel giorno ci si aspettava uno sgombero, che però è rimasto sulla carta. Dopo la decisione del gip, la palla è passata alla Prefettura e al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, ma lo “sfratto” non è ancora stato eseguito.

Nel frattempo la procura di Roma ha chiuso l’indagine (atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio) in cui si procede per invasione di terreni o edifici. Sedici gli indagati e tra questi il leader di Casapound Gianluca Iannone e il dirigente nazionale Davide Di Stefano. I sedici sono finiti sotto accusa perché “approfittando del fatto che lo stabile fosse libero e incustodito, dopo aver forzato il portone di ingresso, occupavano abusivamente l’immobile sito in roma via Napoleone III, di proprietà dell’Agenzia del demanio e concesso in uso governativo al ministero della Pubblica Istruzione”. Gli indagati avranno venti giorni per presentare memorie e farsi interrogare, poi il pm Eugenio Albamonte, titolare del fascicolo, deciderà se chiedere il processo o l’archiviazione.

Intanto resta aperto un ulteriore filone di indagine, quello per il quale si ipotizza il reato di associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale. Un’impostazione nei mesi scorsi non condivisa dal gip Zsuzsa Mendola nel provvedimento di 9 pagine in cui afferma che “non sussistono elementi che consentono di ricostruire ad unità le diverse vicende giudiziarie ai fini della valutazione della sussistenza del delitto di partecipazione ad una associazione nonché di accertare se le condotte poste in essere, per quanto riprovevoli, siano espressive di ideologie o sentimenti razzisti o discriminatori, ovvero se sussista lo scopo dell’incitamento alla discriminazione nel senso anzi detto, per motivi fondati sulla qualità personale del soggetto e non invece, sui suoi comportamenti e sulla ritenuta assenza di condizioni di parità”. Su questo aspetto quindi le indagini del pm sono ancora in corso.

Nel decreto il gip scrive anche che “risulta acclarato che l’occupazione dell’immobile da parte dei diversi nuclei familiari si protrae da numerosi anni, in alcuni casi sin dal 2003, e non risultano in atti evidenze di situazioni contingenti che possano integrare un attuale pericolo di un danno grave alla persona”. E ancora: “La situazione economico-patrimoniale degli occupanti, verificata dalla Guardia di Finanza, attesta lo svolgimento di attività lavorativa e la percezione di redditi da parte degli stessi. Trattasi quindi di stabile occupazione di un immobile, trasformato dagli indagati in abituale residenza. L’immobile risulta peraltro inserito come già detto nel piano straordinario per l’emergenza abitativa del Lazio”.

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