Una legge elettorale che cominci “a superare le pluricandidature e i paracadutati”, permettendo ai cittadini di “scegliere i propri candidati”. Poi nuovi regolamenti parlamentari che evitino “l’uso distorto del cambio di casacca“. Inizia da qui l’intervista di Luigi Di Maio andata in onda a Che tempo che fa su Rai3. Il ministro degli Esteri traccia i contorni delle riforme istituzionali che la maggioranza ha messo in cantiere dopo la vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. E blinda il governo Conte, respingendo ogni ipotesi di rimpasto: “Mentre i ministri stanno parlando con l’Ue per scrivere i progetti per il Recovery fund, per la terza volta in tre anni cambieremmo gli interlocutori. Credo che questo possa rallentare il processo di ricostruzione del Paese”. Oltre al fatto che, aggiunge Di Maio, mettere ora in discussione l’alleanza con i dem “significherebbe che l’esecutivo cadrebbe. E invece sono d’accordo con Zingaretti: serve un colpo d’ala, può volare”.

Il primo nodo che la maggioranza dovrà affrontare nelle prossime settimane, però, è proprio quello della legge elettorale. “Io penso che tutte le esperienze degli ultimi anni ci hanno spiegato che il modello di riferimento deve essere il proporzionale“, sostiene l’ex capo politico M5s. “Poi ci sono gli sbarramenti che ad esempio servono a favorire la governabilità. Non devono entrare forze dello 0,5% in Parlamento. Oggi c’è una proposta che lo fissa intorno al 3%, poi c’è chi discute di poterla alzare”. In realtà il testo base firmato da Giuseppe Brescia su cui la maggioranza sta lavorando fissa la soglia al 5%. Quella di Di Maio sembra una svista, ma non esclude l’ipotesi che alla fine si arrivi proprio al 3 come chiesto dai partiti più piccoli (Leu in testa). Per quanto riguarda la reintroduzione delle preferenze su cui il Fatto ha lanciato una petizione online – il ministro ribadisce la necessità di superare i listini bloccati che finora sono sempre stati bocciati dalla Consulta.

Più ampie, invece, le divergenze sulle modifiche ai decreti sicurezza. Su questo Di Maio non si sbilancia, ma si dice certo che si arriverà a un’intesa: “So che c’è una discussione in corso tra le forze politiche su quali punti modificare. Sicuramente bisogna recepire le osservazioni del capo dello Stato Sergio Mattarella”, spiega. “Su tutte le altre sono sicuro che troveremo una soluzione. L’immigrazione è un tema che va affrontato e il governo ci sta lavorando”. A chi gli contesta la situazione nei centri di detenzione in Libia, il ministro chiarisce: “Ho avviato subito il processo di negoziato per superare i centri di detenzione che il Papa definisce lager. Il lavoro della diplomazia andrà avanti e porterà dei risultati, ma ha tempi che non sono né quelli della politica né quelli dei media”. Una situazione non troppo diversa da quella in Egitto, dove “i rapporti non si sono mai normalizzati dalla tragedia di Giulio Regeni“, ma serve tempo per arrivare alla verità. Di Maio però assicura che, per quanto riguarda il ricercatore torturato e ucciso al Cairo è indispensabile la presenza dell’ambasciatore italiano, mentre per la detenzione di Patrick Zaki “è stato attivato il processo Ue di monitoraggio per ottenere giustizia”.

Nel corso dell’intervista c’è spazio anche per affrontare il tema degli Stati generali del Movimento. “Dobbiamo darci un’organizzazione”, insiste Di Maio. “Il mio ruolo è dire muoviamoci, meno opinioni e più idee. Io mi sono dimesso 8 mesi fa da capo politico per dare responsabilità a tutti. Il cambiamento deve mettere insieme tutte queste anime“, ha aggiunto, sottolineando che “bisogna andare oltre qualsiasi tipo di leadership singolare”. L’ultima domanda è sul caso dello stipendio aumentato al presidente dell’Inps Tridico. “Su questo tema dobbiamo fare una considerazione legata al momento che stiamo vivendo”, commenta il ministro. “Tanti italiani sono in cassa integrazione o non riescono a uscire dalla crisi. È chiaro che non sono contenti. Una cosa sarebbe stata discutere dell’aumento dello stipendio di Tridico un anno fa, un’altra è adesso. Faremo gli approfondimenti, ma questa cosa non mi fa perdere la fiducia nel presidente dell’Inps, né nel ministro Gualtieri né nel ministro Catalfo che seguono il dossier”.

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