A poche ore dall’election day – con il voto per il referendum, la presidenza di sette regioni e molti comuni tra cui 18 capoluoghi di provincia – la domanda è come faranno a esprimere la loro preferenza i positivi e i loro familiari in quarantena o in isolamento domiciliare? Potranno votare in casa, ma solo se – tra una telefonata e l’altra all’Asl per segnalarsi, comunicare i contatti, spiegare e avere informazioni – si sono ricordati di mandare una richiesta prima del 15 settembre.

Era questo il limite temporale entro cui chiedere di votare a casa come previsto del decreto 103 del 14 agosto. Anche perché i comuni e le Asl dovevano avere il tempo di far arrivare a casa gli addetti alla raccolta del voto che come abbiamo imparato durante la pandemia con le Usca (Unità Speciale di Continuità Assistenziale Regionale) devono indossare le protezioni necessarie, comprese le famose tute bianche usate nei centri di biocontenimento. Senza contare la distinzione di procedura tra l’elettore positivo e l’elettore in isolamento o quarantena.

Ma chi ha scoperto di essere positivo il 16 settembre? Si trova in un limbo. La parte finale dell’articolo 48 della Costituzione – che disciplina il diritto al voto – è tuttavia molto chiaro: “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”. Abbiamo chiesto a Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale dell’Università La Sapienza, cosa ne pensa della questione.

Professore ci sono arrivate segnalazioni da parte di cittadini che non potranno votare perché non hanno fatto in tempo a fare la richiesta…
La premessa è che il governo ha emanato un decreto, il numero 103/2020, e i ministeri della Salute e dell’Interno le circolari per regolare il voto anche con riferimento esplicito al voto domiciliare. La difficoltà nasce dal fatto che la richiesta doveva essere effettuata tra il decimo e il quinto giorno prima delle elezioni e quindi entro il 15 settembre.

Certo, ma da 15 settembre in poi?
Questo è problema delicatissimo, perché capiamo tutti quali sono le ragioni di questa tempistica: bisogna dare ai comuni la possibilità di organizzare il voto a domicilio. Ma la domanda che pone il costituzionalista è se le comprensibili esigenze di carattere organizzative possono comprimere il diritto inviolabile del voto e l’ovvia risposta è: certo che no. Alle persone che hanno scoperto di essere positive dopo la data del 15 settembre il voto deve essere garantito. Hanno il diritto a votare. Per coloro che, invece, non hanno fatto richiesta in tempo c’è comunque un vulnus più limitato (perché c’era una prescrizione) e comunque si pone un problema di esercizio di voto, anche se è meno grave. Ma coloro che non sapevano di essere positivi e lo hanno scoperto dopo il 15, almeno a questi deve essere garantito una procedura di emergenza o comunque che la richiesta possa essere effettuate fino alla domenica del voto. I dati giornalieri ci dicono che c’è una certa quantità di persone che sono positive.

I comuni potrebbero avere difficoltà a organizzare…
Non vorrei che i comuni ponessero ulteriori ostacoli: nel decreto legge si legge che la richiesta può essere effettuata anche per anche via telematica: che non significa che deve essere fatta con una pec: basta una comunicazione, una dichiarazione. Siamo di fronte a un diritto fondamentale e l’indicazione data è quella di favorire al massimo anche in questa situazione di emergenza il diritto al voto. Quindi non creare ostacoli, ma cercare di superarli.

Poniamo il caso di una persona che scopre oggi di essere positiva e che voglia votare domenica. E poniamo il caso che le venga detto che non è possibile. Può proporre ricorso?
Ma certo. Se non viene garantito il voto al domicilio si può fare ricorso.

Ma questo potrebbe invalidare le elezioni? Penso ai piccoli comuni dove a volte basta una manciata di voti per eleggere il sindaco o dove ci sono battaglie all’ultima scheda
È prevedibile che si facciano ricorsi anche se non possiamo prevedere esiti, qui stiamo parlando di diritti fondamentali

Non sarebbe stato meglio separare il voto referendario dalle amministrative?
Questa è la dimostrazione di come l’accorpamento di due voti di natura diversa è stata del tutto inopportuna. Ovviamente l’inopportunità è politica, però una separazione avrebbe potuto far sì che, anche dal punto di vista sanitari, si sarebbe potuto controllare meglio la situazione e garantire l’effettivo esercizio di voto.

Le posso chiedere cosa voterà al referendum?
Voterò contro questa riforma che considero una ‘trappola’ che riduce la grave crisi del sistema parlamentare a una semplice questione di numeri

Articolo Precedente

Voto a domicilio per persone in isolamento Covid, il “diritto a scadenza”. Urne a rischio per chi si è scoperto positivo dopo il 15 settembre

next
Articolo Successivo

L’Italia al voto dopo il lockdown: urne aperte per il referendum sul taglio dei parlamentari. E in sette Regioni si scelgono i governatori

next