Scade il diritto di votare a domicilio. Anzi no. Anzi, dipende dal Comune. È questa la situazione in cui si sono trovati i cittadini italiani a pochi giorni dalle elezioni. Perché il 15 settembre scorso è stata l’ultima data entro cui, secondo quanto disposto nel Decreto Legge 103 del 14 agosto 2020, i cittadini sottoposti a trattamento domiciliare, in quarantena o in isolamento fiduciario per Covid-19, avrebbero potuto chiedere di esprimere il proprio voto a domicilio. Per farlo, per l’esattezza, occorreva inviare al sindaco del Comune una dichiarazione che attestasse la volontà di esprimere il voto presso il proprio domicilio e un certificato “rilasciato dal funzionario medico designato dai competenti organi dell’azienda sanitaria locale”. Un diritto a scadenza non solo per chi (non necessariamente per scelta) non aveva rispettato il termine pur sapendo di poter usufruire della possibilità, ma anche per chi suo malgrado si è trovato tra le mani l’esito di un tampone positivo o ha dovuto mettersi in isolamento solamente dopo quella data. E che, quindi, non aveva inviato nulla, convinto di poter esprimere il proprio voto con le normali modalità. Un diritto a scadenza che può significare molto in termini di voti, soprattutto nei piccoli comuni, dove si può vincere anche per una manciata di preferenze. Il ministero dell’Interno, in realtà, ha cercato di trovare una soluzione al groviglio, ma non tutti i cittadini potranno beneficiarne.

TUTTO NELLE MANI DEI SINDACI – Perché, con la volontà di garantire il diritto al voto a quante più persone possibile, il Viminale ha rimesso ai sindaci la facoltà di accettare la richiesta fino all’ultimo momento utile. Solo che in un piccolo Comune l’ultimo momento utile, magari, può anche significare a 24 ore dal voto, in realtà più grandi è più complicato. Dal ministro spiegano che si è cercato di non frapporre ostacoli all’esercizio del diritto, ma ci sono adempimenti organizzativi che occorre rispettare e che impediscono l’iscrizione all’ultimo momento. Bisogna, inoltre, tener presente che 24 ore prima delle elezioni vanno comunicati i seggi assegnati. Di fatto le amministrazioni che, per svariate ragioni, ne avevano la possibilità, hanno continuato a garantire il diritto al voto (che dovrebbe essere garantito, in realtà, dalla Costituzione), mentre cittadini residenti in altre realtà non sono stati così fortunati. Tra l’altro, in molti casi non è chiaro fino a quando sarà data la possibilità di esprimere la propria preferenza con questa modalità. L’unica cosa certa è il fatto, di contro, che finora sono pochi gli italiani che hanno chiesto il voto a domicilio. Meno di mille le domande arrivate su 37.289 persone in isolamento domiciliare (alla data del 15 settembre), a cui andrebbero ad aggiungersi quelle in quarantena. La Toscana, tra le sette regioni in cui si voto, è partito il maggior numero di domande: circa 400. Meno di cento nelle Marche.

IL CASO DELLA TOSCANA – E non è un caso se proprio la Regione Toscana ha diffuso una nota stampa per informare chi si è venuto a trovare in questa spiacevole situazione: “In attesa di chiarimenti da parte del ministero dell’Interno, i cittadini in isolamento domiciliare per il Covid che vogliono esercitare il diritto di voto possono chiedere il certificato Asl che attesta tale stato anche in questi giorni e, quindi, oltre il termine del 15 settembre inizialmente previsto”. Chi intende votare e non può andare al seggio perché in isolamento, deve collegarsi al sito della Asl Tse, dove si può compilare il modulo online per richiedere il certificato da presentare al Comune per la votazione a domicilio. Appena ricevuto, il cittadino si dovrà inviare il certificato dell’Asl all’Ufficio elettorale del Comune nei cui elenchi elettorali è iscritto.

UN PROBLEMA DI DIRITTI E DEMOCRAZIA – Ma i numeri piuttosto modesti delle richieste sono probabilmente legati anche ad alcune difficoltà oggettive riscontrate dagli elettori. La vicesegretaria di +Europa, Costanza Hermanin, ha denunciato nelle ultime ore alcuni problemi nel sistema di votazione domiciliare riscontrati nel Lazio, anche sulla base della testimonianza di un’allieva della scuola politica del partito ‘PrimeDonne’, emblematica della confusione che si è venuta a creare sulla possibilità di inoltrare o meno la richiesta dopo il 15 settembre. Sara Immé, 31enne siciliana residente a Roma, è entrata in isolamento fiduciario il 16, perché ha avuto un contatto stretto con una persona risultata positiva al Covid-19. “Mi hanno detto di fare domanda comunque – ha raccontato all’AdnKronos – e non ho ottenuto risposta. Oltre a me ci sono 10 persone solo nel mio ufficio che non potranno votare. Sento che ci è stato sottratto un diritto fondamentale, tanto più in materia costituzionale”. E che si ponga anche un problema di democrazia lo sa bene il ministero dell’Interno, come mostra una circolare inviata a tutti i prefetti d’Italia e firmata da Claudio Sgaraglia, capo del dipartimento per gli Affari interni e territoriali del ministero. Una circolare con cui, dato il poco riscontro sul fronte del voto domiciliare, si cerca di sensibilizzare i sindaci, invitandoli a prevedere “misure ritenute più idonee per tutelare maggiormente gli elettori anziani o più fragili”, valutando anche “eventuali misure che consentano l’accesso agevolato al seggio elettorale” scrive il capo dipartimento. Perché queste elezioni, nonostante decreti e circolari, rischiano di rappresentare prima di tutto un vulnus per la democrazia.

Articolo Precedente

Regionali Campania, il futuro bussa ma la porta è chiusa a doppia mandata

next
Articolo Successivo

Voto a domicilio, il costituzionalista: “I cittadini risultati positivi dopo il 15 settembre hanno il diritto incomprimibile di votare”

next