Sono naturali e comprensibili le doglianze dei parenti delle vittime di Cesare Battisti alla notizia che al terrorista ed ex latitante sia stata concessa la liberazione anticipata. Ma quanto è accaduto dal punto di vista giuridico, e cioè il riconoscimento della “buona condotta” con conseguente riduzione, nel computo finale, della pena da scontare, è non solamente un fatto preveduto dalla legge e dunque perfettamente in linea con l’ordinamento, ma anche umanamente giusto. Non ha nulla a che vedere con il concetto abusato di “certezza della pena” e una sua presunta violazione.

Anche per questo principio, al pari di quanto accade con quello di legalità, un traguardo dell’evoluzione del diritto subisce, nel linguaggio della polemica senza fine, una metamorfosi radicale così da trasformarsi in un grimaldello concettuale per soddisfare il desiderio del “pugno duro” e del giustizialismo facilone. Finché esisterà la Costituzione e non saranno promosse consultazioni popolari per “ridurre il numero delle garanzie” (vedasi il tormentato capitolo sulla prescrizione) la pena deve continuare ad essere finalizzata alla rieducazione del condannato (e questa è una conquista decisiva dello Stato di diritto).

Chi è contrario a questa lettura della punizione dovrebbe andarsi a rileggere un po’ di storia del pensiero giuridico e rendersi conto di come andavano (e potrebbero ancora andare) le cose prima dell’introduzione del dogma per cui la pena non è una vendetta rusticana, ma deve porre come scommessa decisiva la “guarigione della società” (per parafrasare Durkheim). Ripeto: l’unica presa di posizione umanamente comprensibile è quella dei parenti delle vittime (anche se temo che questo umanissimo dolore venga strumentalizzato dal tentativo dei media di fomentare frizioni sociali).

Il resto è pura polemica da reti sociali: un mondo dove, in nome di un ulteriore travisamento tipico della contemporaneità, viene proiettato il concetto di libera espressione di parola verso l’abuso di parola e dei commenti più estemporanei, provocatori e, assai spesso, privi di fondamento tecnico (giuridico se si discute di questioni di diritto, medico se di medicina e così via).

La grande illusione di una maggiore democraticità delle società di oggi, fondate sulla possibilità di “dire tutto su tutto da parte di tutti” sarebbe vera se questa sorta di diritto “di tribuna” venisse esercitato – non dico con competenza – ma almeno con il rispetto delle forme espressive del rispetto e dell’educazione. Come già accennato in altri post, la società al tempo dei social si forgia intorno al linguaggio del turpiloquio dei concetti che, oramai, non investe solamente alcuni ribelli (ben venga questa categoria quando è portatrice di idee innovative) ma diviene la via normale di esprimersi.

In questo senso la vicenda di Cesare Battisti non differisce certamente da tutte le altre. Forse è addirittura più roboante, in quanto fa gioco reinventare un’attualità sociale a fatti storicamente datati, rispetto ai quali coloro che ne parlano con veemenza poco o nulla ne sanno. In questo quadro generale mi sono chiesto se, sfruttando un presunto diritto di cronaca, non siano i giornalisti stessi a creare e ricreare polemiche e contrasti per alimentare un capitolo nuovo della tanto gustosa e vertiginosa pop justice di cui spesso scrivo nei miei post.

La vicenda dell’ex terrorista Battisti – dati i suoi trascorsi di rivoluzionario di estrema sinistra – fa gioco in questa realtà politico-sociale in cui la nuova fenomenologia mediatica della destra del XXI secolo è caratterizzata da tratti linguistici che vengono raccontati come “chiari” e “rivolti alla gente” quando, assai spesso, sono piuttosto caratterizzati da toni che ricordano un “pugno nello stomaco” (seppur vengano costantemente conditi da ideologie familistiche, legalitarie e patriottiche). In verità Cesare Battisti non è libero e certamente non lo potrà essere per numerosissimi anni.

La liberazione anticipata per buona condotta consiste nella decurtazione di un numero di giorni fissi ogni semestre che verranno scalati dal “fine pena” (cosiddetto “mai” nel gergo carcerario, nel caso di un ergastolano). I drammatici errori e gli orrendi delitti di cui si è macchiato Battisti hanno trovato lo Stato capace di reagire, seppure in ritardo e dopo una lunga latitanza. Una volta che è stato raggiunto questo scopo, e cioè la carcerazione, Cesare Battisti è diventato un detenuto come ogni altro (condannato all’ergastolo).

Finché la giustizia ha un senso i suoi principi non devono subire rivolgimenti, e anche la liberazione anticipata è un principio che deve essere assicurato per consentire a chi ha “sbagliato” di redimersi. Questo è un principio che ha le proprie radici nel messaggio cristiano e proprio chi difende quei valori con forza e orgoglio dovrebbe farsi primo portatore di questi valori.

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