Pacificare” è la parola d’ordine di questa stagione del pontificato bergogliano. Smussare, sopire, gettare ponti per cercare di sedare l’aspra guerra civile in seno alla Chiesa cattolica, che divampa da anni. Precisamente da quando con i due Sinodi sulla Famiglia papa Francesco ha aperto la strada alla comunione per i divorziati risposati, archiviando le parole d’ordine dei “principi non negoziabili” (concetto che Bergoglio sin dall’inizio del pontificato ha pubblicamente dichiarato di non comprendere).

Questa settimana l’Avvenire ha pubblicato a pagina intera un articolo su un libro di prossima pubblicazione dedicato a Bergoglio e Ratzinger. Il titolo del volume è un programma: “Papa Francesco, Benedetto XVI papa emerito. Una sola chiesa”. L’impaginazione di copertina è concepita in modo da dare l’impressione che Bergoglio e Ratzinger abbiano scritto insieme il libro (mentre invece si tratta di una scelta parallela di discorsi dei due papi in occasione delle udienze generali del mercoledì).

Il titolo dell’articolo dell’Avvenire è ancora più esplicito nel suo obiettivo. “Papa Francesco e Benedetto XVI – Novità, continuità, una sola Chiesa”. L’intento è chiaro. Va eliminata e cancellata anche l’ombra di una contrapposizione fra i due papi e fra i due blocchi che da oltre sei anni sono attestati su sponde opposte. La realtà della Chiesa e delle sue gerarchie è un fenomeno complesso. Non c’è dubbio che esistano molti fili di rimando tra gli interventi di Francesco e quelli dei suoi predecessori Wojtyla e Ratzinger. Con il papa polacco è evidente la sintonia sul piano del forte impegno sociale. Con il papa tedesco Bergoglio condivide la necessità di riflettere su significato e senso dell’essere cristiani in un’epoca storica in cui il cristianesimo in Europa è diventato minoranza, non è più normativo in Occidente e nel mondo deve confrontarsi con l’avvento di una società culturalmente decisamente policentrica.

Non va dimenticato, in questo contesto, che Ratzinger e Bergoglio sono i primi papi a pronunciare come termine più usato la parola “amore”, mentre i predecessori mettevano sempre al primo posto la parola “Chiesa”. Segno che il pontefice argentino e il suo predecessore tedesco sono entrambi convinti che nell’era dei fondamentalismi, dell’indifferenza e del “fai da te” religioso, il cristianesimo deve riscoprire con determinazione il nocciolo essenziale del suo messaggio. L’amore, la fratellanza, la giustizia, la salvezza che Cristo ha predicato.

Resta il fatto che dentro la Chiesa è in corso da anni un’escalation aggressiva degli ambienti tradizionalisti contro il papa regnante. E non c’è dubbio che il via libera del pontefice argentino all’eucaristia per i divorziati risposati, il suo rifiuto sistematico di condannare le unioni omosessuali, la sua volontà di archiviare le guerre culturali tra Chiesa e mondo moderno, l’apertura alla discussione sul diaconato delle donne e l’aver permesso di valutare la possibilità di preti sposati, tutto ciò ha spaccato profondamente il mondo cattolico.

C’è uno zoccolo duro (valutabile in un trenta per cento della gerarchia, del clero e di laici impegnati in vario modo) che conduce un’opposizione accanita contro papa Francesco. Apertamente sui siti web o dietro le quinte nelle strutture ecclesiali. Il Sinodo sull’Amazzonia è stato il momento più acuto dello scontro. Un fronte significativo di vescovi e cardinali si è schierato a favore del veto assoluto ad un clero sposato, mettendo in difficoltà Francesco. Cosa più grave, nello scontro è intervenuto anche l’ex pontefice Ratzinger pubblicando un libro con il cardinale ultra- conservatore Robert Sarah: un’iniziativa percepita come un altolà ufficiale al papa regnante.

Tanto è vero che il risultato è che, pur avendo il Sinodo amazzonico chiesto (con voto regolare di due terzi dei vescovi partecipanti) che i diaconi sposati potessero essere ordinati preti, Francesco ha congelato la questione. Non ha sconfessato i vescovi – che lui stesso aveva autorizzato ad affrontare il problema – ma non ha dato nemmeno seguito, per ora, alla loro richiesta.

L’imperativo adesso è “ricucire”. Si comprende così perché la prefazione al libro dei due papi – pubblicata con tanto rilievo dall’Avvenire – sia stata scritta personalmente dal Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin. L’operazione è chiaramente politica. Collaboratore nr.1 di papa Francesco, il cardinale Parolin mette in luce i collegamenti tra Bergoglio e Paolo VI. E la coincidenza di accenti sul tema della misericordia divina tra Bergoglio e i papi Wojtyla e Benedetto XVI. Parolin parla di una “continuità teologica sempre sottolineata”. Nel caso di papa Francesco e di Benedetto XVI il Segretario di Stato vaticano enfatizza la “naturale continuità del magistero” fra i due, accentuata da quella che definisce una “viva comunanza di affetto”.

Le citazioni scorrono facili. Nel 65° anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Ratzinger, papa Francesco lo ha elogiato perché “continua a servire la Chiesa e non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita”. L‘ex pontefice Ratzinger, a sua volta, ha detto che la bontà di Francesco lo ha colpito sin dal momento dell’elezione e che questa “bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto”.

Insomma, passando in rassegna le catechesi di Bergoglio e Ratzinger riportate nel volume (edito da Rizzoli) Parolin rimarca la naturale diversità dello stile dei due personaggi ma soprattutto la “consonanza spirituale dei due pontefici”. La realtà è meno idilliaca. Ma entrando nella lunga fase di preconclave, in vista di una successione di cui non è possibile ancora intravvedere i contorni, è evidente che papa Francesco vuole portare pace per quanto possibile in una Chiesa divisa.

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