Perché il Papa ha taciuto sui preti sposati? A rilanciare questo interrogativo è Gian Franco Svidercoschi, storico vaticanista, che ha iniziato a raccontare le vicende della Chiesa cattolica con il Concilio Ecumenico Vaticano II fino a diventare vicedirettore de L’Osservatore Romano durante il pontificato di San Giovanni Paolo II.

Il giornalista è autore di un libro dal titolo molto significativo: Il silenzio di Papa Francesco. Una riflessione critica sulla Querida Amazonia (Rubbettino). “Ha lasciato molti con l’amaro in bocca, – scrive Svidercoschi – il silenzio di Francesco sulla proposta, contenuta nel documento finale del Sinodo sull’Amazzonia, di ordinare sacerdoti anche uomini sposati, per supplire alla mancanza di clero in quella immensa regione. Ma, ancora di più, è stato sconcertante il silenzio di tanti uomini di Chiesa, e di tanti opinionisti, sul silenzio del Papa. A conferma che l’ordinazione di viri probati, benché non fosse uno dei temi centrali del Sinodo, ha finito con l’assumere una risonanza eccessiva, e decisamente negativa”.

Per il vaticanista, “gestito malamente dai vescovi amazzonici, che l’hanno in qualche modo ‘imposto’ al Papa, ma anche dal Papa stesso, che non ne ha percepito in tempo la pericolosità, il problema ha portato vistosamente alla luce le tante contraddizioni che ancora esistono nel rapporto tra primato petrino e collegialità episcopale, tra universalità e sinodalità, tra ordinamento canonico e nuovi carismi, nuove soggettualità”.

Per questo motivo, Svidercoschi, nel rileggere l’esortazione, ritiene che proprio da questa così complessa e tormentata vicenda, anziché venir messa rapidamente nel dimenticatoio, dovrebbe svilupparsi una riflessione critica, non solo sul pontificato bergogliano ma sui tanti, troppi ritardi che ancora si registrano nella realizzazione e nell’ulteriore attualizzazione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Con 128 placet contro 41 non placet, infatti, i padri sinodali si erano espressi a favore dell’ordinazione sacerdotale di uomini sposati. “Considerando che la legittima diversità – si legge nel documento finale del Sinodo – non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della Lumen gentium 26, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”.

Ma, come è noto, nella sua esortazione Francesco non ha recepito questa proposta.

“Il modo di configurare la vita e l’esercizio del ministero dei sacerdoti – scrive Bergoglio – non è monolitico e acquista varie sfumature in luoghi diversi della terra. Perciò è importante determinare ciò che è più specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato. La risposta consiste nel sacramento dell’ordine sacro, che lo configura a Cristo sacerdote. E la prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell’ordine abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile”.

Per Svidercoschi “l’esortazione apostolica post sinodale sembra proprio la reazione di un Papa al tentativo, non solo di marca amazzonica, di imporgli una svolta rivoluzionaria, che lui, benché aperto al cambiamento, non si sente di avallare. In questo momento, in questa situazione, Francesco ha scelto la soluzione più semplice (forse avrebbe fatto meglio ad argomentare il suo ‘no’), ma che potrebbe avere gravi ripercussioni sul futuro della comunità cattolica. Il silenzio non può essere la risposta abituale di un Papa ai problemi che sono venuti fuori anche da questo Sinodo”. Parole pesanti sulle quali riflettere.

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