L’Italia è uno dei Paesi meno trasparenti di tutta l’Unione europea quando si tratta di rendere conto a livello internazionale della vendita di armamenti ad altri Stati. Lo si scopre sfogliando i report annuali che ogni Stato che aderisce al Trattato sul commercio delle armi (Att) del 2013 (votato all’unanimità dal Parlamento italiano) deve inviare alle Nazioni Unite fornendo un resoconto delle armi e dei mezzi militari venduti o acquistati. Negli ultimi quattro anni, a partire dal report del 2017 (in riferimento all’anno 2016), quando alla guida del governo c’era Paolo Gentiloni, Roma indica esclusivamente il tipo, ma non il modello, del prodotto esportato e, soprattutto, non specifica mai verso quali Paesi viene effettuata l’esportazione, avvalendosi della clausola di riservatezza.

Il tema è stato sollevato da Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal Brescia) e di Rete Disarmo, nel corso di un’audizione informale alla commissioni Affari Esteri della Camera, il 21 luglio: “L’Italia è uno dei Paesi meno trasparenti dell’Unione europea in materia di esportazioni di armamenti – ha dichiararto – Non solo da quattro anni non comunica alle Nazioni Unite le informazioni richieste ma, per farlo, si avvale di una clausola del Trattato sul commercio di armamenti, senza averlo mai comunicato né motivato al Parlamento. Tale mancanza di informazioni non è attribuibile a problemi di natura tecnica, ma risponde a una precisa decisione assunta in sede politica che però non è chiaro da chi sia stata assunta”.

Quello dell’Italia è l’unico caso tra i principali Paesi membri dell’Ue. Bulgaria, Estonia, Cipro, Croazia, Ungheria e Paesi Bassi non hanno presentato il report, anche se alcuni di questi hanno chiesto di avvalersi della proroga concessa dal Trattato, prima di fornire le informazioni richieste. Altri, come la Danimarca, la Norvegia e la Svezia omettono i Paesi di destinazione solo per specifiche tipologie di armamento. Tutto ciò è possibile grazie alla clausola di riservatezza prevista dall’articolo 13.3 del Trattato che permette ai Paesi omissioni in caso di informazioni sensibili da un punto di vista commerciale o legate alla sicurezza nazionale. Ma un uso esteso a tutti i tipi di armamento e sistematico, visto che l’Italia ricorre alla clausola dal 2017, si scontra con gli obiettivi indicati all’articolo 1, tra cui c’è anche quello di “promuovere la cooperazione, la trasparenza, e l’agire responsabile degli Stati Parte nel commercio internazionale di armi convenzionali, e quindi accrescere la fiducia reciproca fra gli Stati parte”.

Ilfattoquotidiano.it ha chiesto all’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) che si occupa di redigere il testo e inviarlo al Segretariato generale delle Nazioni Unite, il motivo del costante utilizzo della clausola di riservatezza e se questa indicazione arrivasse dal ministero degli Esteri, dato che si tratta di una decisione politica. Da Uama fanno però sapere che l’ ufficio competente “invia il report al Segretariato dell’Att senza chiedere una previa autorizzazione politica. Il ricorso alla clausola di riservatezza che consente di non divulgare i dettagli delle licenze di esportazione per Paese destinatario deriva dalla opportunità di fornire in sede internazionale dati coerenti con quelli contenuti nella relazione annuale al Parlamento”.

Questo vuol dire che, dopo la fine del governo Gentiloni, durante il quale si è deciso di ricorrere alla clausola, Uama ha continuato a inviare il report come da disposizioni del 2017, senza consultare i successivi ministri competenti, Enzo Moavero Milanesi e Luigi Di Maio, o chi alla Farnesina aveva la delega all’export di armamenti. Inoltre, nella sua risposta Uama motiva la scelta anche con “l’opportunità di fornire in sede internazionale dati coerenti con quelli contenuti nella relazione annuale al Parlamento”. In realtà, però, in quest’ultima il Paese destinatario viene indicato, così come la categoria del prodotto e l’ammontare economico della commessa, senza specificare il quantitativo in unità.

Ilfattoquotidiano.it ha così contattato il sottosegretario agli Esteri con delega alle “questioni concernenti l’esportazione di armamenti e beni a duplice uso”, Manlio Di Stefano, che, in forma scritta, ha risposto: “La prassi è di vecchia data, ormai, e la valutazione circa l’opportunità di continuare ad avvalersi o meno dell’art. 13.3 dell’Att è attualmente in corso e implica una serie di questioni strategiche che richiedono tempo e cautela. Il Maeci è molto attento e prolifico nell’inviare informazioni per la relazione annuale al parlamento ex legge 185/90 (anche questo in via di miglioramento). Entrambe le valutazioni le stiamo facendo proprio grazie a un’interlocuzione avviata con la società civile recentemente convocata da me in riunione”.

Twitter: @GianniRosini

Articolo Precedente

Pulizie e trasporto scolastico, Roma aggira il Consiglio di Stato e affida i servizi alla Newco pubblico-privata con dentro Cns

next
Articolo Successivo

Ubi passa a Intesa, adesioni si chiudono al 90,2%. Carlo Messina: “Tutti vincitori”. Il titolo vola in Borsa

next