“Palestina è anche fuori all’uscio di casa”. Erano parole di Vittorio Arrigoni, giornalista, che per la Palestina ha dato tutto e lo avrebbe fatto per ogni Palestina che passasse la notte su una panchina o su un barcone alla deriva. “Perchè la Palestina? Perchè difendere il diritto alla libertà del popolo palestinese è il più scontato tentativo di restare umani”, scrive Cecilia Dalla Negra, giornalista, nel suo libro Si chiamava Palestina.

Bel casino. Dovrebbe saperlo che a dire, peggio, scrivere certe cose ti metti solo dalla parte scomoda, che a schierarti col più debole puoi solo trovare conforto nella tua coscienza e in chi non si rassegna al gioco delle parti, che condannare il sionismo diventa per il più forte (e falso) l’imbroglio di spacciarti per antisemita. Le parole sono importanti, se storpiate si infilano senza rumore e cancellano lente la Storia.

La Palestina esiste, il sionismo la storpia, Israele la cancella, l’indifferenza internazionale dimentica. Cecilia Dalla Negra è una voce e non tace. E scrive. Non una cronaca, ma un percorso che tiene conto, sempre, di ciò che avviene prima e scatena il dopo: “Un secolo di storia ha un’origine e una causa cui occorrerà sempre tornare per poter leggere i fenomeni attuali nella loro complessità”.

Quante volte ho sentito parlare di Palestina, quanti film ho visto con le facce dei palestinesi a fare i cattivi. Sono cresciuto credendo che i cattivi fossero gli indiani e tifavo cowboys, mi sbagliavo. Digito la destinazione sul motore di ricerca e appare: “impossibile trovare Palestina su Google Maps”. Al suo posto: Israele.

Si chiamava Palestina non è la pietra scagliata contro Golia, ma quella terra con un popolo che “un popolo senza terra” le ha sottratto. Cecilia Dalla Negra ha il coraggio semplice di chi difende il più debole, anche quando questi sbaglia, e il suo libro è come un muro netto, ma se Israele lo erige per confinare i palestinesi, Cecilia lo ha fatto per separare la religione dalla Storia.

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