Bellugi Fan Club Kitikaka. Dobbiamo confessarlo. Non possiamo farne più a meno. Un po’ come l’idrossiclorochina per Trump. Come Beautiful per Cossiga. Come Dolce per Gabbana. Quando è domenica e ritorna il campionato noi abbiamo bisogno dei commenti alla partite da parte di Mauro Bellugi. Lo senti bollire in lontananza come fosse una pentola di fagioli (lui direbbe: “fascgiolie”). Lo senti caricarsi con quei suoi borborigmi diaframmatici faringei che lasciano poco al caso. Mauro è sempre fisso, a mezzo busto, gesticolante come un pulismano anni sessanta, dietro al bancone degli ospiti di Diretta Stadio su 7 Gold. Per Inter-Bologna sfoggia una giacca giallo melone mantovano sopra ad una camicia blu scura da vecchio cuore interista. Cuore (vero) che viene richiamato finemente proprio all’altezza del petto. Lì dove elegante svetta un fazzoletto nel taschino di colore blu con piccoli pois bianchi. È il vestito della domenica che, dopo la camicia bianca aperta da danzatore di samba di due settimane fa, Mauro sfoggia con una nonchalance da consumato biscazziere del casinò di Sanremo.

La forma è sostanza diceva Godard. E manco a dirlo due volte ecco un commento alla partita da Fino all’ultimo respiro. “Bravi!”. Già perché la domenica interista sembra mettersi subito abbastanza bene. L’1 a 0 di Lukaku accende l’albero natalizio degli auguri agli avversari rossoblù. Arrivederci e grazie. Bellugi vive così un primo tempo in surplace. Ebbro dei gas euforici dei tre punti già conquistati senza nemmeno troppo sbattersi. Si gratta spesso dentro l’orecchio per poi controllare cosa, tra un’ape e un cappero antico, lo infastidisce. Mistero che forse con l’assaggio immediato può essere svelato. Ecco che il conduttore, di cui non ricordiamo il nome (ma davvero, ogni tanto un sottopancia nelle tv locali mettetecelo, altrimenti dicono che Kitikaka è un covo di fetenti), lancia su un piatto d’argento tre domande tre che diventano assist da goleador (che Mauro, a dire il vero, proprio non era). La prima è il refrain su Eriksen e Mauro in forma smagliante si muove agile sulla sintassi: “Però ha giocato bene due partite”. Poi un attaccante nerazzurro riceve palla da Eriksen, il conduttore chiede un commento e lui sintetico e preciso: “Bella”. Terza domanda: “Mauro, come hai visto l’Inter uscire dagli spogliatoi?”. E qui il silenzio improvviso di Bellugi che nemmeno abbozza un aggettivo ricercato (pimpante? guardinga?) sa di autorevole situazionismo.

Solo che la squadra di Conte comincia a traballare. Pairetto, offeso come il professor Riccardelli in Fantozzi, espelle il bolognese Soriano che ha osato riferirsi a lui dicendogli: “Sei scarso”. Inter in 11 contro 10. Mauro, vecchia volpe elegante finché volete, ma vero segugio del campo da calcio, annusa l’aria. Becca un centrocampista nerazzurro dimostrando che la tattica è passata da casa Bellugi prima di parcheggiarsi sulle lavagnette di Conte, rispettando la consecutio temporum e l’assenza di articoli determinativi: “Giocatore invece dribblare uomo, va a tu per tu con avversario, capire non è suo momento”. L’Inter però non vuol chiudere la partita ed ecco il rigore fallito di Lautaro per il mancato raddoppio. Mauro decide che è meglio alleggerire l’atmosfera tesa, tanto che quando il telecronista della partita afferma che Brozovic l’ha presa di petto, Bellugi gioca la carta dello Zelig di Gino e Michele: “Petto di pollo”.

Niente da fare. L’ironia serve a poco. L’Inter prima traballa, prendendo gol del giovanissimo fenomeno Juwara, infine tracolla con il raddoppio bolognese di Musa Barrow. Mauro esterna come nemmeno nei collegamenti esterni di Diritto e Rovescio: “Non gera (letterale, ndr) nessuno. Ma guarda lissù… i difensori… è andato lì prima … e allora… pazzesco”. Poi quando tutti se la prendono con Gagliardini, e qualcuno si mette pure a storpiare alla Emilio Fede il nome di Juwara, chiamandolo Mimì Ayuara (complimenti vivissimi), Bellugi opta per l’incazzatura dietrologica da distinti laterali: “Rigore deve tirarlo il rigorista!”. Passano i minuti e l’Inter scompare. Mise en abyme più pratica che simbolica anche per l’interista Mauro che non lo senti più borbottare, non lo percepisci più reclamare, non lo vedi più gesticolare. Scatta il 90esimo e quasi si fa da parte, oltre la linea del fallo laterale, mima i crampi, chiede senza fiatare il cambio. Uno scapperamento fugace tra gli incisivi, fischio finale dell’arbitro, gesto con le mani aperte all’indietro, rapida captatio benvolentiae al vicino di sedia (“io avevo detto 2 a 2”) e il fuori onda più bello del mondo. Il conduttore: “Alle 8 finiamo”. Mauro: “Io devo andar via”.

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