Rischia fino all’ergastolo chi viene riconosciuto colpevole di sedizione, separatismo, ingerenza straniera e tradimento a Hong Kong, dove da domani entra in vigore la legge sulla sicurezza nazionale imposta dalla Cina bypassando il parlamento dell’ex colonia britannica. Il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, massimo organo legislativo della Repubblica popolare cinese, ha ufficialmente dato infatti il via libera alla legge, approvata all’unanimità dai suoi 150 membri. Un provvedimento – i cui contenuti nel dettaglio non sono ancora stati diffusi – che mina le libertà di cui gode Hong Kong – assenti nella mainland China – e l’indipendenza del suo sistema giudiziario. Secondo l’emittente pubblica Rthk, i sospettati potranno essere trasferiti in Cina per un processo con il consenso del leader di Hong Kong, mentre la retroattività delle norme potrà scattare nella raccolta di prove contro coloro che infrangeranno la legge dal primo luglio.

La legge “segna la fine di Hong Kong che il mondo conosceva prima”, che “si trasformerà in uno stato di polizia“, ha scritto su Twitter l’attivista Joshua Wong, che insieme a figure di primo piano come Nathan Law, Jeffrey Ngo e Agnes Chow, ha dato le dimissioni da Demosisto, partito nel mirino per le campagne pro-suffragio universale e la richiesta di sanzioni contro gli abusi sui diritti della Cina. Gli Stati Uniti intanto hanno già iniziato ieri il processo di congelamento dello speciale status vantato dall’ex colonia britannica nei rapporti bilaterali ma la governatrice Carrie Lam si è detta pronta a prendere le “necessarie contromisure nell’ipotesi di sanzioni da parte degli Usa” che, ha precisato, non ci spaventano.

La legge imposta dalla Cina arriva dopo mesi di proteste pro-democrazia, con gli attivisti scesi in piazza a giugno anche per ribellarsi al divieto di commemorazione della strage di Tienanmen. La scorsa settimana Wong aveva detto di considerarsi “l’obiettivo primario” della contestata legge che sarebbe stata approvata a Pechino. Dopo gli annunci degli esponenti di Demosisto, il Fronte nazionale di Hong Kong – un altro gruppo pro-indipendenza – ha fatto sapere che la sua base locale sarà sciolta e che tutte le operazioni verranno trasferite a Taiwan e nel Regno Unito. Attualmente sono 15 gli esponenti del fronte pro-democrazia – compreso Jimmy Lai, fondatore dell’Apple Daily, in attesa di processo per il loro ruolo nelle proteste antigovernative durante le quali, dal giugno dello scorso anno, sono state arrestate 9.000 persone.

“È deludente che la Cina non mantenga le sue promesse“, ha commentato la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, convinta che per questo motivo il modello ‘un Paese, due sistemi’ imposto a Hong Kong si sia rivelato un fallimento. Qui, secondo Tsai, Pechino non ha infatti mantenuto la promessa di un alto livello di autonomia per i 50 anni successi alla fine del dominio britannico nel 1997. “il modello ‘un Paese, due sistemì non funziona”, ha incalzato la presidente dell’isola, che Pechino considera una ‘provincia ribellè, dopo le notizie arrivate da Hong Kong secondo cui la Cina avrebbe approvato la contestata legge sulla “sicurezza nazionale” nell’ex colonia britannica.

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