“Richieste inammissibili e tardive”. Così il presidente della corte d’Assise di Reggio Calabria Ornella Pastore ha licenziato le istanze presentate dagli avvocati. L’istruttoria dibattimentale è destinata a concludersi nella prossima udienza quando di si concluderà il processo Ndrangheta stragista che vede alla sbarra Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, entrambi accusati dell’omicidio dei due carabinieri, Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto il 18 gennaio 1994 sull’autostrada all’altezza dello svincolo di Scilla.

La settimana scorsa le difese del boss di Brancaccio e dell’esponente della cosca Piromalli avevano chiesto di sentire alcuni testimoni ai sensi dell’ex articolo 507 del codice di procedura penale. Attraverso l’avvocato Giuseppe Aloisio, in particolare, Giuseppe Graviano voleva far sfilare in aula il gotha della ‘ndrangheta e quello di Cosa nostra. Nell’elenco depositato in aula dal difensore di Madre natura, come lo chiamavano i suoi uomini, c’erano i boss di Gioia Tauro Pino Piromalli e Mommo Molé, che avrebbero dovuto smentire le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonino Cuzzola e Giuseppe Di Giacomo il quale aveva raccontato in aula dell’esistenza di un direttorio della criminalità organizzata un “livello supremo” composto non solo dai siciliani ma anche dai calabresi.

Ma Graviano voleva fare interrogare anche esponenti di primo piano di Cosa nostra come Giuseppe Lucchese, detto “occhi di ghiaggio” (che uccise il commissario Ninni Cassarà), i boss della Noce, Domenico e Raffaele Ganci (fedelissimi di Totò Riina), Vincenzo Buccafusca e i catanesi Santo Mazzei e Aldo Ercolano, il killer di Pippo Fava. Nella lista testi del boss di Brancaccio, inoltre, c’era anche Pietro Scotto (che avrebbe dovuto riferire sulle confidenze fatte al pentito Nino Logiudice in merito al ruolo del poliziotto Giovanni Aiello, indicato come “Faccia di mostro”) e il falso pentito Vincenzo Scarantino che, nelle intenzioni di Graviano, avrebbe dovuto smentire quello vero, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza.

Per il presidente della Corte d’Assise, a riscontro dei collaboratori di giustizia sentiti durante il processo, i testimoni dovevano essere indicati nell’immediatezza e non dopo tre anni di udienze con il rischio di far slittare la sentenza prevista per luglio. Ecco perché, per descrivere le richieste degli avvocati, il giudice Pastore ha utilizzato anche il termine “pretestuose” oltre che “inammissibili e tardive”.

Il Tribunale quindi ha accolto la tesi del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. È stata, infatti, rigettata anche la richiesta di interrogare la responsabile dell’area Sanitaria del carcere di Opera che avrebbe dovuto riferire sulla “famosa lettera al ministro Lorenzin” in cui Graviano avrebbe fatto riferimento a Berlusconi. Il processo adesso è stato rinviato al 30 giugno quando tecnicamente si chiuderà l’istruttoria dibattimentale e si procederà con la requisitoria del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.

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