Gentile sig. Giulio Rapetti Mogol,

ricevo in data 19 maggio una mail di comunicazione da parte della Società Italiana Autori ed Editori per quello che lei ha definito un vero e proprio “grido di dolore”. Un appello accorato, una chiamata alle armi a tutti gli autori Siae sollecitati a una guerra lampo ai Giganti del Web, nemici giurati del popolo del diritto d’autore. Si riChiede la nostra mobilitazione in blocco a mezzo scrittura rivolta a “Televisioni, Giornali, Parlamento” e a tutti gli Organi di competenza. Una comunicazione la sua, fra l’altro, carica di simboli(ci) esclamativi e maiuscoletti. Come se lo scontento potesse essere davvero filtrato attraverso il Caps Lock.

A tutti gli autori ha chiesto, letteralmente, di “spendersi mettendoci la faccia”. Di rilanciare l’appello attraverso l’invio di video, jingle, slogan & hashtag a sostegno d’una simile battaglia. Giusta in diversi aspetti, ma figlia d’una tempistica decentrata che può sembrare un capolavoro di Ragioneria Applicata all’utile.

Le chiedo invece di fare un passo ulteriore, di uscire dall’atroce logica dell’ennesima sfilata di contenuti, richiesti a fondo rigorosamente perduto al gentilissimo Utente®, a sostegno d’una qualche causa che prevede l’usuale scarico di responsabilità a struttura piramidale. Seppure questa possa sembrarle la soluzione più rapida e moderna per creare assembramento, le assicuro che racchiude un immobilismo arcaico. Muore alla nascita la pratica dell’hashtag. Con un esercizio di stile che il più delle volte è in grado di smorzare anche gli entusiasmi più concreti, un’ora d’aria incapace di definirsi come gesto realmente collettivo. Ed è più simile, per forma e sostanza, all’altrettanto atroce formula da Contest che i lavoratori del settore artistico già praticano da tempi non sospetti con risultati davvero notevoli per gli organizzatori.

Le si chiede, gentile Giulio, un gesto realmente moderno e al passo con i tempi in grado di ripartire dagli spazi interni, oggi di colpo rivalutati. Un segnale lanciato prima di tutto dal piano terra della vostra struttura, grazie anche ai postumi di una Quarantena Interiore che dovrebbe aver portato una sana percentuale di autocritica. Per garantire così a chi crea il riconoscimento dell’identità di autore. Quel diritto all’invenzione anche e soprattutto in una fase tanto critica che, seppure persa nella difficoltà, pulsa della riscoperta di spazi e tempi creativi.

Prima di esortare gli utenti a qualsiasi campagna basterebbe investire sul vostro sito potenziando il già presente invio online con dei form accurati, come per il settore musicale, per chi in questo periodo ha dato vita ad opere radiofoniche o televisive. Basterebbe prendere atto dello sconforto che in primis è dei vostri dipendenti diretti, che ad oggi si sentono talmente motivati dalla vostra politica aziendale da risultare quando raggiunti più spiazzati degli utenti, o da non inoltrare neanche una mail di risposta (a proposito: il vostro server per la sezione Dor è pieno da giorni. Conosco associati che al momento possono garantirle la pulizia dell’account con una spesa davvero irrisoria).

Basterebbe ridefinire le modalità d’approccio al lavoro e all’utenza di una struttura anziana nell’intimo (non vecchia: grazie al politicamente corretto, da qualche tempo da noi non si invecchia più), magari riconvertendo diversi cassintegrati in un settore d’emergenza per la risoluzione di depositi e pratiche.

Al netto di tutti i discorsi sulla trasparenza, sulla redistribuzione dei diritti o su questioni molto più complesse impossibili da trattare qui, da parte vostra in questa occasione sarebbe bastato di fatto il Minimo Sindacale dell’essere. Dell’esserci. Un gesto tutto sommato simbolico, a garantire una qualche forma di vicinanza da parte di una struttura che, mentre pretende spinte partigiane da parte degli iscritti, continua a contorcersi in una anaffettività burocratica sostenuta da quel gergo parastatale in cui lo Stato è padre o padrone a seconda delle esigenze. Quando musica e miseria non sono cosa sola.

E invece la struttura Siae sta di nuovo perdendo l’occasione per dirsi davvero dalla parte di chi crea. Un altro slogan, gentile Mogol, scritto a grandi lettere sulla sede centrale di Roma.

Al momento non collegato ad alcuna realtà oggettiva.
Un hashtag. Un jingle. Quasi un verso: sapore di Siae.
Lei la faccia un’azione concreta. Ci metta la faccia.
All’hashtag, per questa stavolta, ci si pensa dopo.
L’importante è esagerare (cfr.)

disTanti saluti
Emanuele Martorelli,
autore, musicista, scrittore
matricola 140024

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